Ismail Aliosci vive a Roma e da quando la moglie è scomparsa abita la strada, “si è lasciato andare”, dice chi lo conosce. Si è lasciato andare al degrado pensano forse gli assistenti sociali, all’amore senza condizioni e razionalità risponderebbe un romantico, alla depressione direbbe uno psicologo. Non sappiamo quale sia la risposta, forse tutte.
Quello che possiamo sapere è che dedica ogni giorno poesie alla donna della sua vita, la moglie che è deceduta una mattina di ventuno anni fa. Le scrive su pezzi di carta, ritagli di cartone, poi le dona ai passanti, magari per qualche spiccio. Aliosci è originario della Macedonia del Nord ma attualmente vive nelle strade intorno a piazza della Repubblica. In Italia faceva l’operaio, finché lei non è morta, una ferita irreparabile per lui. L’ennesima storia “acchiappalike”, con i tipici ingredienti strappa lacrime, da rivista di gossip, da diagnosi di melanconia…ma quanta quanta poesia e filosofia essa stessa può ispirare.
Ha perso la compagna della giovinezza, ha perso il calore della sua famiglia, ha perso il lavoro, o magari come un antico filosofo cinico, come un moderno Diogene, si è liberato? Liberato da ogni vincolo, da ogni impegno, da ogni responsabilità che non sia quella dell’unico legame autentico che abbia mai conosciuto. Una vera autosufficienza o un’illusione del dolore?
Del resto quando diciamo “Lei è la donna della mia vita” non abbiamo specificato se si tratti della vita limitata a questa esistenza terrena o a quella vita senza fine della nostra anima.
Viene da pensare alle parole di Van Gogh rivolte in un’epistola al fratello: “Colui che non ha imparato a dire: «Lei e nessun’altra», sa forse che cos’è l’amore?”
E ancora ai versi “Giochi ogni giorno con la luce dell’universo”, di Pablo Neruda, contenuta all’interno di “Venti poesie d’amore e una canzone disperata”, raccolta scritta dall’autore cileno nel 1924: gioca ogni giorno Ismail, con la memoria di sua moglie e la fantasia dell’ispirazione.
“Le mie parole piovvero su di te accarezzandoti.
Ho amato da tempo il tuo corpo di madreperla soleggiata.
Ti credo persino padrona dell’universo.
Ti porterò dalle montagne fiori allegri, copihues,
nocciole oscure, e ceste silvestri di baci.
Voglio fare con te
ciò che la primavera fa con i ciliegi”.
Auguriamo a questo cuore senza pace, a questo marito fedele alla promessa, a questo poeta della strada -oltre il tempo e la caducità dei corpi- di rinascere nella sua primavera.
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