Istruzione: si è rotto qualcosa tra scuola e società. Così non serve a nessuno
Gli studenti e anche i genitori vedono negli insegnanti degli sfigati, senza autorevolezza e di conseguenza privi di autorità
Stanno accadendo troppi casi di violenza inusuali nella nostra scuola. Aggressioni tra studenti ma anche verso gli insegnanti. Si è rotto qualcosa tra scuola e società. Così non serve a nessuno. Bisogna pensare a nuovi metodi d’insegnamento.
Contro le violenze il pugno di ferro non serve
Ricorderete l’insegnante della scuola di Rovigo che venne presa a pallini di gomma sparati in faccia e che ha denunciato l’intera classe. Oppure il patrigno di una ragazza che aveva preso una nota di demerito, a Ferrara, che assalì con un pugno l’insegnante. Poi insulti, minacce, atti di bullismo e i genitori che sono sempre dalla parte dei figli anche quando questi sbagliano.
Di fronte alla violenza il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ammette l’emergenza e promette solo pugno di ferro: “sanzioni e lavori socialmente utili.” Sembra di essere nella Cina di Mao Tse Tung dove si rieducavano, le teste indisciplinate con le punizioni e le costrizioni.
Accoltella l’insegnante “perché ce l’ha con me”
Ad Abbiategrasso, vicino Milano, lunedì 29 maggio, un ragazzo di 16 anni ha accoltellato una professoressa di 51, ferendola in più parti del corpo. Le sue condizioni non sono gravi, secondo i sanitari dell’Ospedale di Legnano, che la stanno curando. Ha ricevuto anche la visita del Ministro della Pubblica Istruzione Valditara, che ha portato all’insegnante ferita la solidarietà sua e del Governo. Auspicando che fatti come questi non debbano ripetersi, in seguito, il Ministro ha sostenuto, in un video affidato ai social, che l’episodio offre l’occasione “per riflettere attentamente sull’introduzione dello psicologo a scuola”.
Aveva già mostrato segni di problematicità
I Carabinieri hanno accertato che il coltello con cui il giovane ha aggredito la docente aveva una lama di ben 30 centimetri e con sé portava anche una pistola ad aria compressa (un giocattolo ma può far male) che tuttavia non ha usato. Ovviamente il ragazzo è stato fermato e anche arrestato e gli accertamenti dovranno anche chiarire se non ci siano problemi neuropsichiatrici dietro l’accaduto. Tant’è che si è parlato, da parte dello stesso Ministro, della necessità di valutare la presenza di uno psicologo nella scuola, adducendo questa riflessione alle conseguenze del disagio mentale subito dai giovani in conseguenza delle restrizioni del Covid.
Bah, il Covid con l’insegnamento a distanza, la paura di infettarsi, la reclusione forzata nelle proprie case non è stato una passeggiata, ma da qui a dire che i ragazzi ne sono usciti con disturbi mentali mi pare eccessivo. Comunque. Quel che è venuto fuori sul ragazzo è che aveva già avuto sei note durante l’anno scolastico, di cui il padre nemmeno era a conoscenza e “che aveva già mostrato in passato alcune problematicità” per riportare le parole del Ministro. Se un ragazzo di 16 anni ha comportamenti “problematici” che fai? Che mezzi ha la scuola per intervenire? Lasciarlo stare non mi è sembrata una buona idea.
Lo psicologo a scuola serve solo per occupare un po’ di laureati in psicologia
Il fatto che possa avere avuto problematiche psichiche, anche se si dovesse dimostrare, non significa che basti mettere un laureato in psicologia in ogni scuola perché terminino le aggressioni e le problematicità smettano di verificarsi. Uno psicologo può fare delle interviste, dei test, dare delle valutazioni sul Q.I. e sulle attitudini, forse può individuare un possibile disturbato mentale o un ragazzo violento ma poi non ha mezzi per intervenire.
Al massimo lo allontana dalla classe. Certi comportamenti comunque sono celati nelle pieghe della personalità di un ragazzo, oppure si mostrano attraverso un comportamento da bullo, che è solo un potenziale aggressore. Non lo è di fatto, finché non accade l’incidente. Quello di cui c’è bisogno forse è una scuola diversa da quella che fin qui, a serie di interventi sgangherati, abbiamo rabberciato, rattoppato, riformato più a parole che nella sostanza. Fin qui abbiamo avuto al Ministero dell’Istruzione solo politici impreparati che hanno fatto disastri. Mi pare che questo continui ad essere l’andazzo.
La scuola di Don Milani eliminava le diseguaglianze sociali
Non spetta a me dire che tipo di scuola ripensare ma proprio in questi giorni c’è stato l’anniversario di Don Milani, il prete di Barbiana che nel ’68 rivoluzionò il modo di insegnare e lo descrisse nella famosa Lettera a una professoressa. Quel metodo considerava la diseguaglianza di partenza di ogni studente, per cercare di colmarla con lo studio. Ogni alunno viene da classi sociali diverse, con diverso livello di conoscenza. Il merito dunque sarebbe un falso metodo, conta ma viene dopo. Prima bisogna dare a tutti, indistintamente, la possibilità di apprendere, senza lasciare indietro nessuno.
La scuola si deve adattare alle potenzialità dell’alunno, le deve esaltare, favorendo anche lo scambio, lo studio di gruppo, la crescita collettiva e invece di emettere giudizi con i voti, deve portare tutta la classe al livello massimo di conoscenza per quell’età. Non contano le nozioni, sapere le cose a memoria, ma sapere come trovare le risposte, sapere come cercare. La scuola dovrebbe insegnarti a imparare e studiare perché non si smette mai di apprendere, per tutta la vita. In parte questi concetti li si ritrova in altri modelli scolastici.
Al centro del progetto mettiamo il ragazzo, non la materia
Si fa tanto parlare del metodo finlandese, dove i voti non servono perché conta il percorso, che è individuale. Al centro del progetto c’è il ragazzo, non la materia da studiare. Il programma è portare ogni studente al suo livello massimo in base alle sue tendenze psico attitudinali. Hai grandi capacità musicali, sviluppiamo quelle, accanto allo studio di base.
Sei bravo in matematica? La scuola sarà più tollerante sui tuoi risultati in letteratura. Hai grandi capacità di leader e di eloquio? Crescerai nel rispetto degli altri e per diventare una guida, non un despota. La scuola non deve allenare al conflitto, alla competizione. La società competitiva è quella che ha creato le mostruosità che subiamo oggi. Lo stress, la paura di non essere adatti, l’insicurezza, l’emarginazione. Nella vita le difficoltà esistono di per sé, non c’è bisogno che ne creiamo altre con l’insegnamento.
La scuola non conta nulla e gli insegnanti sono degli sfigati
La scuola ha perso la sua funzione primaria. Gli studenti sanno che non servirà il titolo di studio per ottenere un accesso facile all’occupazione, quale essa sia. I genitori non considerano la scuola l’istituzione fondamentale per la crescita culturale dei propri figli. La scuola è un parcheggio. Lo è da decenni ma la sua funzione di baby sitter è cresciuta e si è mangiata le altre. I ragazzi non imparano cose utili. Cose che poi gli serviranno.
Se l’obbiettivo e fare soldi, avere successo come il calciatore, l’attore, il cantante, a che serve la scuola? Questo credono gli studenti e anche i genitori. Vedono negli insegnanti degli sfigati, senza autorevolezza e di conseguenza privi di autorità. Gente che ha perso 30 anni per arrivare a guadagnare 1.500 euro al mese. Pensano di saperne più loro della vita che quelle persone umiliate, noiose, senza futuro, perché hanno stipendi ridicoli. Marco Orsenigo, docente di sostegno in un Centro di formazione professionale in Monza-Brianza, educatore e pedagogista, sostiene che “Gli insegnanti appaiono spesso vittime, sì, ma di un sistema”, continua l’educatore.
“È il sistema scolastico che non funziona, e non sa più leggere i bisogni degli studenti: la violenza e i gesti plateali sono il loro modo di farsi vedere al mondo”. Azioni che immediatamente i social network rilanciano, come nel caso di Rovigo, dove i compagni hanno filmato in diretta con il telefonino l’atto vandalico.
Che ci possiamo inventare?
Nessun intervento punitivo cambierà la situazione, è lo stesso con la criminalità. L’idea che se commetti un reato vai in galera non fa calare i reati. Li ferma per un po’ poi riprendono. È il comune senso di giustizia che riduce i reati. È una maggiore cultura, il rispetto per l’altro, per l’arte e il paesaggio, la sensibilità e l’attenzione per le nostre bellezze storiche, la conoscenza in tutti campi, questo porta a una società migliore e ad abbassare i crimini. I Paesi con minor criminalità sono quelli con più diffusione della cultura. La cultura e lo sport sono gli unici argini alla delinquenza, al menefreghismo.
Che intervento ci vorrà per la scuola? “Serve una visione organica e di lungo periodo per usare bene i fondi del Pnrr”, sostiene Ivana Barbacci, segretaria generale della Cisl Scuola, intervistata su Io donna. “Una visione che manca da 20 anni: 20 anni in cui gli interventi nel settore scolastico sono stati frutto delle varie ideologie. Le sospensioni, che per molti studenti sono una manna, ma anche il ricorso ai lavori socialmente utili, sono risposte velleitarie che non risolvono”.
La scuola non può essere trattata come un’emergenza: «Servono mesi e mesi, se non anni, perché i cambiamenti diano frutti», le fa eco Orsenigo. Per questo la politica fatica a trovare soluzioni buone da esibire al suo elettorato nell’arco di una legislatura. “Ci vuole una visione di lungo termine, e investimenti che, per i primi tempi, sembrano a fondo perduto”. (Io donna, 17.1.2023)