Chiarissimo anticipatore del diritto di cittadinanza e promotore dello ius soli, ecco l’imminente discussione in aula dello Ius Scholae, un civilissimo diritto che si fa strada transitando dalla preliminare uguaglianza tra i minorenni.
Vero è che bambini e bambine, fino all’adolescenza avanzata, sono lo specchio indiscusso della società in cui vivono in ragione delle regole a loro imposte dagli adulti e del tipo di educazione che ricevono. Ma il tema, da sempre considerato complesso perché connotato da evidenti propensioni conservatrici dell’italianità in senso etnico, benché ormai rimesso a valutazioni completamente diverse, è ormai da lungo tempo stravolto dai due fenomeni epocali costituiti dall’immigrazione ormai regolare e dall’abissale crollo delle nascite nel Bel Paese.
Arrivati a questo punto, cosa farsene più dello ius sanguinis se arriva lo Ius Scholae?
L’attuale ordinamento prevede infatti che si è italiani solo se i genitori naturali sono cittadini italiani, a differenza dello ius soli che la attribuisce a chiunque nasca sul proprio territorio, come è negli USA. Qui si deve prendere atto che, nel momento in cui una classe scolastica italiana “conta” più studenti stranieri che italiani, come orami è la realtà quotidiana in tutte le scuole del territorio nazionale, davvero non ha più alcun senso distinguerli per cittadinanza. Laddove i primi possono essere considerati più italiani dei secondi per il solo fatto che i loro genitori sono occupati in attività lavorative che gli italiani, ormai da decenni, si rifiutano di fare.
È quindi tempo di abbandonare questa vecchia ipocrisia, retaggio di una nobiltà prerepubblicana, volta a tutelare ciò che ormai e per fortuna non esiste più. Tutte le forze politiche infatti, tranne una, si trovano in linea con questo ragionamento lineare e naturale, rivelandosi semplicemente patetico, soprattutto in questo caso, lo slogan “prima gli italiani”, laddove sono proprio questi ultimi ad aver perso ogni forma di identità nazionale, dall’istruzione al turismo.
Non c’è difatti famiglia italiana che non abbia spedito (o cercato di spedire) almeno un figlio a consumare l’esperienza Erasmus all’estero anche in Paesi con tassi migratori elevati. Né si riesce a trovare un italiano medio che non preferisca andare in vacanza all’estero perché “costa di meno”, tant’è che addirittura la gettonatissima Grecia è stata soppiantata dalla più economica Albania.
Quindi, appare assolutamente condivisibile il testo di questa futura legge, secondo cui, qualora un minorenne extracomunitario che sia giunto in Italia prima del 12 anni e abbia portato a termine un ciclo scolastico per intero, acquisisca di diritto la cittadinanza italiana. Rappresenta, questo, un grande passo di civiltà e di legittimo riconoscimento nazionale, oltre di radicamento sociale di piccoli individui destinati a diventare protagonisti del futuro italiano, anche se – a dispetto della triste miopia di molti – con la pelle di un colore diverso.
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