Nonostante sia ormai imminente l’arrivo a Kabul delle truppe statunitensi con il compito di aiutare personale diplomatico e altri americani a lasciare il Paese, l’avanzata dei talebani non si arresta. Questi risultano infatti ancora accampati a una cinquantina di chilometri dalla capitale afghana, probabilmente in attesa del completamento delle evacuazioni dalle ambasciate. Lo riporta la Bbc.
Il capo delle Nazioni Unite ha avvertito che la situazione sta andando fuori controllo con conseguenze devastanti per i civili. Finora più di 250.000 persone sono state costrette a lasciare le loro case e molti di loro si sono concentrati a Kabul, nei parchi o in alloggi di fortuna. “Gli alleati della Nato sono profondamente preoccupati per gli alti livelli di violenza causati dall’offensiva dei Talebani, compreso gli attacchi dei civili, gli omicidi mirati e le notizie di altri gravi abusi dei diritti umani”. Lo dice il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, dopo la riunione del Consiglio nord atlantico.
Un quadro politico che sta portando la stragrande maggioranza dei civili a vivere quotidianamente nel terrore. Una delle tante storie che rappresenta al meglio gli attimi di tensione a cui la popolazione afghana è ogni giorno sottoposta, è quella della giovane Nahal, che, a poco più di 30 anni, ha studiato in Afghanistan e all’estero e, dopo essere rientrata nel suo Paese, lavora per un’organizzazione internazionale. Vive con la sorella Mahvash e con il padre. “Nostro papà ci ha sempre cresciute libere. Quando i talebani presero il potere la prima volta nel 1995 ci portò in Pakistan affinché potessimo studiare. E anche dopo che siamo tornate qui a Kabul la sua priorità è sempre rimasta quella: che noi avessimo un’educazione e scegliessimo la strada che preferivamo”.
Nahal e Mahvash non si sono mai sposate come invece viene imposto a molte loro coetanee. Vivono libere, escono da sole, hanno perfino avuto la possibilità di andare all’estero per seguire dei corsi di aggiornamento o per fare delle esperienze lavorative. Non hanno mai indossato il burqa. “Ora tutto questo potrebbe cambiare. Se arrivassero i talebani probabilmente verremmo costrette a sposarci. Sappiamo che anche qui a Kabul stanno facendo delle vere e proprie liste con i nomi di tutte le ragazze nubili“, raccontano con la voce piena di angoscia. “Come potremmo vivere se fossimo obbligate a stare chiuse in casa, uscendo solo in compagnia di nostro padre. Perché così funziona il sistema del guardiano: non puoi nemmeno andare a fare la spesa senza che un uomo ti accompagni”.
Mahvash, minore solo di qualche anno rispetto a Nahal, è assunta come giornalista per un grosso network internazionale. Come la sorella ha studiato e lavora sodo. “Per fortuna non devo apparire in video. Così a molti parenti ho detto che faccio l’insegnante. Qui il mestiere della giornalista è molto mal visto, oltre che essere pericoloso. Si ritiene che per una donna sia conveniente diventare o maestra o dottoressa, tutto il resto è un mestiere da poco di buono. Ma io non voglio smettere di dare notizie, soprattutto ora che è importante raccontare cosa sta succedendo”.
Nahal e Mahvash sono angosciate. Ascoltano i resoconti delle persone per strada e credono che la fine della loro vita così come l’hanno conosciuta sia vicina. “Sentiamo storie orribili, di ragazze portate via con la forza, costrette a sposarsi con uomini che non hanno mai visto. Nostro zio è appena fuggito da Mazar-i-Sharif e ci ha riferito di talebani che si sono iniettati dell’eroina davanti a tutti prima di tagliare le teste di quelli che considerano oppositori e nemici. E allora pensiamo che l’unica cosa che possiamo fare è fuggire da qui, dalla nostra casa”. Ad aiutarle per il momento non c’è nessuno, nonostante abbiano prestato servizio per istituzioni. “Siamo completamente sole. Impossibile trovare un visto per fuggire”.
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