E se il romanzo epistolare oggi fosse rappresentato dal carteggio digitale? Se al posto dei quarant’anni di lettere d’amore fra il drammaturgo George Bernard Shaw e l’attrice Stella Campbell ci fossero state email?
Se le ‘lettere virtuali’, le email, o, ancora meglio, i messaggi istantanei dei social network, prima Myspace, adesso Facebook, avessero preso il posto della corrispondenza epistolare?
Se Honoré De Balzac fosse vissuto in quest’epoca , non avrebbe scritto appassionate -missive alla sua amata contessa Eva Hanska, ma avrebbe utilizzato i messaggi di facebook?
Forse sarebbe andata proprio così, con parole scritte istantaneamente a rendere appassionante e desiderabile una storia d’amore nutrita principalmente dalle parole.
Ma c’è di più. Se quest’amore nascesse soltanto dalle parole, perciò non venisse consumato, i due amanti fossero entrambi sposati e non si incontrassero nella vita reale e la relazione clandestina restasse tutta nel ‘virtuale’, continuando a scriversi desiderandosi, si tratterebbe comunque di tradimento?
“L’amore pensato e un bacio non dato” cantava Max Gazzè, e forse è tutto lì, in quell’essere desiderato, immaginato, agognato.
Le parole sanno essere seduttive come nessun altro mezzo di corteggiamento, affabulano, hanno perciò un potere immenso, e nella sospensione di un amore mai consumato può esserci una forza che si alimenta da sé.
Chi sa scrivere, conosce come sedurre l’interlocutore. Si tratta di una perversa ed affascinante forma di sofisticato narcisismo, del quale si è del tutto inconsapevoli. È un peccato che si consuma in due . Ma possiamo davvero definirlo: amore?
Un legame virtuale, eppure costante, duraturo, che nasce e cresce sul computer, non è orfano di parole d’amore e di romanticismo, anzi spesso ne è intriso più di un legame ‘reale’, che talvolta è sin troppo pragmatico. Questo tipo di legame, seppur non consumato, significa comunque tradire? L’amore virtuale è adulterio?
È uscito di recente un libro-confessione che parla proprio di questo tema, si intitola: Turned On ( trad. letterale: Acceso, nda) . In un bell’articolo del quotidiano britannico The Indipendent, la giornalista ci dice che come una coeva Anna Karenina l’autrice del romanzo, che si firma con lo pseudonimo: Lucy Dent, tradisce il proprio marito scambiandosi messaggi d’amore e di sesso via internet con un tale che usa il nickname: ‘Paranoid android’. Per lungo tempo, i due non consumano l’adulterio nella realtà, ma lei vibrerà e sospirerà ogni volta che accenderà il computer portatile nella sua camera. Consumerà il tradimento nello spazio del suo mondo virtuale.
Eppure la protagonista desidera il suo interlocutore più di ogni altra cosa, ha un appuntamento fisso con lui ed è ossessionata dalla possibilità di leggere ogni giorno suoi nuovi messaggi, nuove parole d’amore e non solo. D’altronde Ernst Lubitsch, in Scrivimi fermo posta, prima, e Nora Ephron , poi, in C’è Posta per te (rifacendosi allo stesso film di Lubisch), avevano interpretato le emozioni di uno scambio tra due sconosciuti che nulla aveva di ‘irreale’, perché era vitale e pulsante nel racconto reciproco, nell’attesa d’amore.
Nell’ultima parte del libro però i due si incontrano e finalmente consumano il tradimento. Ne consegue una forte delusione, perché la scrittrice evidenzia la discrasia che si crea tra la fantasia e la realtà, tra l’amato immaginato e l’uomo concretamente conosciuto.
A mio avviso, il problema non è soltanto questo. Mi è capitato di innamorarmi di un uomo grazie ad un lunghissimo carteggio virtuale durato un anno e mezzo, durante il quale non ci siamo mai incontrati, ci siamo visti soltanto in fotografia. Quando l’ho incontrato non sono rimasta affatto delusa, ma non ho voluto consumare l’adulterio. Il problema è che ci si incontra avendo già altre relazioni, un fidanzato, una moglie, insomma una vita che sembra inverarsi nonostante noi stessi e procedere, nel bene e , spesso, nel male. Un vita reale che va avanti senza di noi.
Il guaio è che ci dimentichiamo, o vogliamo dimenticarci, di quella vita quando accendiamo il pc. E seppure nelle parole dette a un pc la disinibizione è totale, della vita di quella persona, che conosciamo attraverso lo schermo e che abbiamo tanto desiderato, non abbiamo nessun dettaglio ‘reale’, ma siamo depositari di tutto il suo mondo interiore. Nel pc esistono soltanto: l’io e il tu. Quando ci si incontra realmente, invece, cominciano a manifestarsi anche quegli altri che sembrano non esistere durante le chattate, vedi alla voce: fidanzato e moglie.
La mia domanda è: chi ci conosce davvero? L’uomo del carteggio appassionato o il compagno al quale nascondiamo una relazione virtuale parallela? Ed io conosco davvero quell’uomo che dietro al computer?
La dicotomia non è tra la fantasia dell’amato e l’uomo reale, la discrasia si attua quando due vite corrono parallelamente e si crede di poterle tenere separate e poterle controllare. Mentendo a se stessi, credendo di non tradire solo perché non si consuma la passione in un letto. Ci si incontra, ci si attrae, in qualche modo ci si innamora reciprocamente in un turbinio di suggestioni, quasi contro ogni possibilità, e ci si immagina già come dei novelli Meryl Streep e Robert De Niro in quella libreria Rizzoli di New York nel film Innamorarsi. Salvo poi chiudere il pc e tornare alla vita quotidiana.
E se riusciamo ad incontrare questo uomo che ci appassiona con le sue parole scritte, tutto svanisce quando sentiamo squillare il suo cellulare e capiamo che non ci sarà lieto fine, perché il salto dal virtuale al reale lo fanno in pochi, perché si ha sempre bisogno di un ‘porto sicuro’, che spesso è una moglie o un marito. Nonostante tutto. E il nostro ‘lui’ riesce benissimo a sdoppiarsi: vita reale e amore virtuale. Ma tu no. Allora, non solo non basta più il virtuale, ma la magia si dissolve per uno dei due, perché o si esce dallo schermo e si vive una nuova storia, completa e reale, oppure si tronca e si riflette sul motivo di quell’evasione che però ci ha fatto tanto trepidare, come non hai mai trepidato con il tuo ex fidanzato storico o con tua moglie.
Ci innamoriamo di una frase, di una battuta ironica, del potere incantatorio delle parole. E fanno l’amore le parole, tra di loro, e, talvolta, sono più pericolose di un bacio. Non c’è bisogno di sesso esplicito nelle frasi dette, ci si innamora per quel che si evoca. Un po’ come una canzone d’amore che ci venga raccontata, declamata, e magari di là nella nostra cucina c’è il marito che ci rimbrotta perché non abbiamo stirato le camicie o non è ancora pronta la cena. Non sempre va così, meno male, ma la routine è anche questo e l’evasione è a portata di clic.
Di quell’assenza dell’amato ci nutriamo, per provare emozioni che la quotidianità ha logorato o che non abbiamo mai vissuto.
C’è del reale nell’impalpabile, si potrebbe dire nell’intelligibile’ di quel tipo d’amore, molto spesso più che nella realtà tangibile. Le Idee dell’Iperuranio platonico erano la perfezione cui tendere, non potrebbe essere lo stesso per l’autentica Idea dell’Amore, quello evocato anche semplicemente dalle parole scritte da uno sconosciuto che ci attrae irredimibilmente dall’altra parte dello schermo?
In fondo, anche nel mito platonico ‘Amore’ era figlio di Penìa e Poros.
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