L’anima gemella non esiste, sposerete quello/a sbagliato/a

Niente paura, è sempre stato così

Da principio erano le favole, poi la letteratura, il cinema, le serie tv statunitensi (specialmente quelle di Aaron Spelling, Darren Star, Amy Sherman Palladino) e adesso anche i programmi televisivi sul matrimonio, materiale che subdolamente si deposita sul fondo del nostro inconscio e ci sussurra che si può essere per sempre felici e contenti sposando l'anima gemella. Orbene, qualche tempo fa sul New York Times lo scrittore svizzero Alain De Botton ha pubblicato un articolo in cui ci rivela come e quanto la cultura romantica del matrimonio nuoccia ai matrimoni e che ciò ci porta a sposare la persona sbagliata.

Sceglieremo sempre la persona sbagliata anche quando crederemo di aver analizzato meticolosamente quella adatta a noi, vale anche per coloro che hanno esperito, un po' come Andie MacDowell in "Quattro matrimoni e un funerale", ben oltre trenta uomini e rispettivi amplessi. Alla base c'è il fatto che abbiamo una serie di problemi nel relazionarci con gli altri e che sembriamo ''normali'', scrive De Botton, solo agli occhi di chi non ci conosce bene. Spesso il matrimonio è un atto che compiono persone che, paradossalmente, si conoscono poco e che non immaginano cosa accadrà.

È la stessa idea romantica dell'amore e del matrimonio a creare la falsa aspettativa secondo la quale lui o lei ameranno tutto di noi e ci salveranno (quanti danni ha fatto in tal senso la canzone ''La Cura'' di Battiato-Sgalambro?). Non c'è nessuno che colmerà il nostro dolore e la persona che condivide ogni nostro gusto e idea non esiste. Molti matrimoni si basano, secondo De Botton, sull'attrazione travolgente, ma in realtà, in una società più saggia e consapevole, a un qualsiasi primo appuntamento a cena la domanda standard che dovrebbe essere posta è: quali pazzie hai?

Tentiamo con impegno di conoscere l'altro attraverso la sua famiglia, i parenti, gli amici, ma anche il nostro partner non è più consapevole di se stesso di quanto lo siamo noi.

È per questa ragione, aggiungiamo, della non consapevolezza di sé e poi dell'altro, che non ci si conosce a fondo e si idealizza, cercando di vestire con un abito che ci piace la persona che ci attrae. A volte è un romanzo d'autore in cui riconosciamo, riflesse, parti di noi, ma è probabile che l'autore non avesse le intenzioni che crediamo. In più, prima di scegliere di sposarci, aprendo e chiudendo relazioni quando vogliamo, non avendo un confronto con una relazione duratura, crediamo di essere persone con cui è facile convivere.

Spesso ci sposiamo, perché non riusciamo a sopportare a lungo la solitudine. Inoltre, pur credendo di cercare la felicità nel matrimonio, non è davvero così. Quello che veramente cerchiamo è la ''familiarità'', sottolinea De Botton. Qualcosa che riconosciamo come ''nostro'', come già vissuto. Stiamo cercando di ricreare, all'interno delle nostre relazioni adulte, i sentimenti che abbiamo conosciuto bene durante l'infanzia. A volte un genitore assente, altre un lutto o un abbandono o qualcuno da salvare col nostro amore. Quindi da adulti sovente rifiutiamo alcuni candidati per il matrimonio, non perché siano sbagliati, ma perché sono troppo equilibrati, maturi, affidabili, li vediamo non idonei, perché dentro di noi la giustizia di certi comportamenti e sentimenti è estranea a causa del nostro vissuto doloroso. Di conseguenza sposiamo le persone sbagliate, perché non associamo l'essere amati con la sensazione di essere felici.

Oppure ci sposiamo per trascinare all'infinito quella bella sensazione che abbiamo provato a cena la prima volta. Pensiamo di poter fermare il tempo, di ''imbottigliare la gioia'' di quei momenti e che il matrimonio ci aiuterà a farlo. Quel momento nel relais in Chianti in Toscana in cui ci sembrava che lui avesse carpito la nostra anima come nessun altro. Insomma, ci siamo sposati per rendere queste sensazioni imperiture, ma non c'è alcun legame solido tra questi sentimenti e l'istituzione del matrimonio.

In effetti, il matrimonio tende decisamente a muoversi su un altro piano. È un piano fatto di bollette, di spesa al supermercato, del ''che cosa c'è per cena stasera?'', della pulizia del bagno, del mutuo da pagare, di bambini che nasceranno e metteranno a soqquadro la casa; è un piano quasi amministrativo. Tutti elementi che uccidono la passione. Questo, scrive De Botton, non significa che dobbiamo lasciare i nostri lui o lei, ma soltanto abbandonare l'idea romantica su cui si fonda, da più di 250 anni, tutta la comprensione occidentale del matrimonio: cioè che esista un individuo perfetto in grado di soddisfare tutte le nostre esigenze e ogni nostro desiderio. Tutti ci trasformiamo in quello-a lamentoso, frignante, rompiscatole e quindi "nell'imperfetto'' e sbagliato che avete sposato. Tutti siamo imperfetti e sbagliati gli uni per le altre, irritabili, livorosi e non prestiamo attenzione al'altro.

Questa che De Bottom definisce la ''filosofia del pessimismo'' dovrebbe confortarci perché allenta tutta la pressione intorno all'idea romantica del matrimonio imposta dalla società . Se lui o lei ci ha deluso, tranquilli, anche noi lo abbiamo deluso. Se lui invece di ascoltarci mentre gli raccontavamo di come ci sentivamo si è addormentato guardando la tv, ebbene lo abbiamo fatto anche noi. Inoltre, a nostro avviso, questa teoria aggiorna di molto il concetto dell'amore perduto, dell'altro uomo, quello che non è il nostro noioso e greve marito, il ''lui ideale'' tipo Clint Eastwood in "Ponti di Madison County" per l'infelice casalinga Meryl Streep, o Daisy Fay Buchanan per Jay Gatsby, e il crogiolarsi sulla questione: forse ci avrebbe amate di più, saremmo state più felici con lui. Ogni uomo è l'uomo sbagliato, così come ogni donna è sbagliata. Quindi, sappiamo che nostro marito è sbagliato tanto quanto noi siamo sbagliate per lui e forse siamo quelli ''giusti''.

De Botton conclude che la persona più adatta a noi non è quella che condivide ogni nostro gusto (anche perché non esiste), ma: ''è quella che sa gestire in modo intelligente le differenze di gusto: una persona che se la cava con il disaccordo. È la propensione a tollerare le differenze con generosità, non un'idea astratta di perfetta sintonia, a indicare che una persona è "non del tutto sbagliata". Essere compatibili è una conseguenza dell'amore, non la sua precondizione''

Il filosofo danese Søren Kierkegaard scriveva che il matrimonio è un'espressione più elevata dell'amore e che se non si considera questo fatto come fondamentale, si rischia di confondere tutto e se non ci si sposa si diventa beffardi o seduttori o eremiti oppure ci si sposa per vivere senza pensare. Lui non si è mai sposato. Tuttavia, dopo qualche anno di convivenza c'è qualcuno che pensa ancora che valga la pena provarci.

Di Mariagloria Fontana, già pubblicato su Huffington Post

 

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