L’invio degli apostoli alle genti nel nome della SS.ma Trinità
di Il capocordata
La domenica successiva alla Pentecoste, la liturgia domenicale ci fa festeggiare il mistero principale della nostra fede cristiana: Unità e Trinità di Dio. La liturgia della Parola ci fa proclamare il Vangelo di Matteo (28, 16-20): questo brano costituisce il grandioso finale e il coronamento del primo Vangelo. Il testo è chiaramente diviso in tre parti, che possiamo designare come segue: la parola di rivelazione, la istruzione, la promessa.
La parola di rivelazione (v. 18)
“Mi è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra”: si tratta del potere conferito da Dio a Gesù in virtù della sua risurrezione, poiché egli è stato costituito Signore dell’universo e giudice della fine dei tempi. La forma passiva (“mi è stato dato”) segnala che è stato il Padre a donargli questo potere ed Egli non l’ha usurpato rompendo la sua comunione di Figlio, secondo la scorciatoia idolatrica suggerita dal diavolo su un altro monte, quello delle tentazioni (Mt. 4, 8-10). Questo potere sovrano è illimitato quanto a pienezza e intensità; esso abbraccia la totalità dell’universo (il cielo e la terra), nello stesso modo con cui nell’A.T. Dio è riconosciuto come Signore del cielo e della terra, cioè creatore e conservatore di tutto l’universo. In quanto Signore così accreditato, Gesù può conferire una missione universale e legare a sé tutti gli uomini, chiamandoli allo “stato di discepoli”, Egli, che è il solo e vero maestro, può essere continuamente presente come Signore del mondo, e dunque anche della storia.
L’istruzione del Signore (vv. 19-20)
“Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato”. Nonostante il fallimento dei suoi discepoli, il Risorto decide di scommettere nuovamente sul loro gruppo sparuto e ferito dal tradimento, ripartendo da una nuova elezione, che si configura come vocazione missionaria destinata a tutto il mondo.
L’istruzione del Signore contiene il comando di ammaestrare tutte le genti. Il verbo “rendere discepolo” dona al conferimento della missione in Matteo la sua nota caratteristica: non si tratta soltanto di presentare, di offrire il messaggio, ma di conquistare ad una relazione stretta e personale. Il modello di tale rapporto è quello del Gesù storico con i discepoli chiamati da lui: essi sono stati invitati a seguire lui, che li ha presi alla sua scuola e ha voluto unirli a sé con un legame personale. Simile modello costituisce la norma per ogni cristiano: “discepolo” è in qualche modo la definizione più semplice di cristiano.
Il contenuto della condizione del cristiano viene precisato dai due verbi seguenti: battezzare e insegnare. Il battesimo e l’insegnamento costituiscono il modo di essere del cristiano, ossia del discepolo. Tale insegnamento deve tuttavia essere considerato come un’istruzione preparatoria al battesimo, una catechesi prebattesimale. Per quanto riguarda la forma del comando di battezzare, si resta colpiti dalla sua “redazione trinitaria”: nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. La presenza del rispettivo articolo dinanzi ai nomi (Padre, Figlio e Spirito Santo) indica la loro realtà di persone, che la successiva riflessione patristica e dogmatica preciserà come: un solo Dio, un solo Signore, non nell’unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. La formula attesterebbe che il battesimo era amministrato in questo modo nelle comunità cristiane al tempo della composizione di questo Vangelo: essa esprime la stretta relazione di vita e di azione tra Gesù e il Padre nello Spirito Santo. La vita e l’opera di Gesù sono la vita e l’opera del Padre nello Spirito Santo.
Il secondo comando dato nell’istruzione è quello di “insegnare”: gli apostoli devono insegnare, come ha insegnato anche Gesù; soprattutto il vangelo di Matteo ci presenta Gesù come maestro. Il vangelo del regno può e deve essere insegnato. Esso costituisce l’oggetto della catechesi, della formazione dei convertiti, dell’istruzione della comunità. Gli uomini e le donne convertiti alla fede e quindi battezzati devono essere resi sicuri, per mezzo dell’istruzione, nella nuova vita e iniziati all’adempimento pratico della volontà di Dio e all’imitazione di Gesù. Gli apostoli devono insegnare “a osservare tutte le cose che vi ho comandato”. I due termini “osservare” e “comandare” sottolineano la volontà sovrana di Dio nei riguardi dei suoi discepoli, e l’autorità di Gesù che impone comandamenti e leggi in virtù della sua dignità di Signore Risorto, come nel discorso della montagna e specialmente nelle sue antitesi: “Avete inteso che fu detto agli antichi…Ma io vi dico”. La predicazione di Gesù è anche una guida per la vita dei discepoli, come appare nelle Beatitudini; e un precetto particolare, perdonare per esempio, è nello stesso tempo anche una predicazione su Dio. Tutto il Vangelo è in sé dottrina di vita per i discepoli. Questa dottrina deve essere insegnata nella sua interezza e senza distinzione e senza attenuare il suo carattere assoluto. La realizzazione di questo comando deve essere universale, nel senso che da “tutte le genti” debbono sorgere discepoli di Gesù. I discepoli devono dunque essere inviati a tutti i popoli.
La promessa (v. 20)
“Io sono con voi tutti i giorni”: come il Signore Dio, nell’A. T., promette costantemente al suo popolo di essere con lui e di non lasciarlo solo, così Gesù Risorto dà la medesima assicurazione a tutti coloro che saranno suoi discepoli. L’orizzonte è ampio, lo sguardo sembra abbracciare senza limite ogni spazio e ogni tempo. In tutte le situazioni Gesù ci è accanto per aiutare e consolare i suoi discepoli, accompagnando sempre l’azione dei suoi messaggeri. “Fino alla fine del mondo”: il Signore risorto sarà dunque con i suoi discepoli e con gli araldi del Vangelo fino alla fine del mondo, fino al suo ritorno finale (parusia).
Bibliografia consultata: Trilling, 1970, Nepi, 2015.