L’evangelista Giovanni (20, 19-31) si preoccupa di trasmettere alla memoria futura che Gesù risorto appare la sera di quello stesso giorno (v. 19) e, “otto giorni dopo” (v. 26,) egli si presenta di nuovo ai suoi. L’indicazione di un ritmo “settimanale” nelle apparizioni del Risorto è particolarmente interessante e distingue il Quarto vangelo dagli altri evangelisti sinottici (Matteo, Marco e Luca). L’attenzione dell’evangelista Giovanni è rivolta all’incontro tra Gesù e i discepoli nel cenacolo a Gerusalemme.
La sua risurrezione, avvenuta nel primo giorno della settimana, riqualifica il tempo della creazione sotto un’altra luce: non è più solo l’inizio di una settimana di lavoro e di impegno in attesa del riposo sabbatico, ma diventa partecipazione all’opera creatrice di Dio, perché in questo giorno il Risorto dona lo Spirito ai suoi affinché portino nel mondo lo spirito della riconciliazione e della pace.
Come il sabato era stato voluto da Dio per interrompere il lavoro dell’uomo che affatica e stanca, così la celebrazione domenicale attorno al Risorto diventa il momento dove i credenti attingono alla ricchezza della Pasqua, perché le fratture, i peccati e le divisioni della settimana siano ricomposti in unità: essa è l’unica condizione richiesta per poter celebrare l’eucaristia nel “giorno del Signore” (Didachè).
Il cuore della vita di una comunità cristiana è la presenza di Gesù che ne è il punto propulsore e irradiatore di vita per i suoi discepoli: “Venne Gesù, stette in mezzo…” (v. 19). L’evangelista Giovanni bandisce ogni forma di riunioni che non abbia Gesù come motivo principale. I cristiani non si radunano per interessi particolari: il motivo del loro radunarsi è Gesù, accolto come risorto, attivo e operante nella storia attraverso la presenza e l’impegno generoso dei suoi discepoli.
E’ da lui che viene lo Spirito Santo che attua e accompagna la missione, è da lui che si aprono le porte della riconciliazione ed è sempre lui che offre la possibilità di diventare nuove creature. Di questo rinnovo della creazione è segno il soffio con il quale il Risorto dona lo Spirito (v. 22): come nella Genesi l’uomo era stato creato attraverso il soffio di Dio nelle sue narici, così la nuova umanità vive grazie al soffio del Risorto che anima la vita di comunione, di riconciliazione e di pace. Gesù è nel mezzo e deve stare nel mezzo, sempre, nella vita dei suoi discepoli, poiché non ha altri posti dove può agire da Signore e Maestro.
Circa la fede dei discepoli, il vangelo riesce a mettere insieme diversi paradossi che sono tanto simili alla nostra vita di credenti. L’assenza di Tommaso nel primo incontro con il Risorto (v. 24), non solo mette in luce la difficoltà a credere di un apostolo, ma anche l’incapacità degli altri apostoli che lo hanno visto risorto con i propri occhi a rendere credibile a Tommaso la loro esperienza di fede.
Gesù deve venire una seconda volta, presente Tommaso (v. 26), per permettergli di professare la sua fede con una delle espressioni più alte di tutta l’esperienza cristiana: “mio Signore e mio Dio” (v. 28). Questo racconto consente di comprendere che la fede nasce dall’incontro con Gesù e che solo lui può essere il principio e il fondamento della fede di ogni suo discepolo.
Se la comunità avesse la pretesa di far nascere la fede in Gesù per altre vie, si dimostrerebbe una scuola filosofica o un club di iniziati che non hanno a cuore l’itinerario della singola persona, ma vogliono solo affermare i diritti del gruppo, mettendo in secondo piano il primato di Cristo, venuto a chiamare ciascuno per nome.
Ancora una volta l’apostolo ci stupisce per quello che riesce a esprimere in poche parole. Non la dichiarazione di una verità, ma lo slancio, senza alcuna remora, per vivere un rapporto che è unico, un legame che trasforma l’esistenza. Cadute le difese, Tommaso accetta il “nuovo” come un dono da riconoscere e da vivere, senza attardarsi nel passato, senza indugi.
Una seconda conseguenza riguarda proprio il dono della fede alla comunità: Tommaso, anche se fatica a credere ai suoi fratelli nella fede, va nella comunità, perché è stata scelta dal Signore per essere il luogo delle sue manifestazioni. La comunità, insomma, non può abbassare la quota del proprio desiderio di conoscere il Signore, né di poterlo incontrare. E’ lì che Gesù chiama a interagire con lui e a vivere la fede di ciascuno a beneficio di tutti.
Tommaso, infatti, è nella comunità che dichiara Gesù il “mio Signore e mio Dio”. Se questa è la più alta professione di fede che si possa esprimere per Gesù davanti a lui, essa non nasce spontaneamente, ma è frutto di un cammino personale che vede momenti di entusiasmo, di dubbio e incertezza, necessari in ogni percorso autentico di fede.
Essere in comunità serve proprio a ricordare a coloro che ne fanno parte che i tradimenti di Pietro o le titubanze di Tommaso sono momenti già accolti dal Signore, perché il credere in lui sia umanamente possibile ed efficace. Credere non è avere un’idea fissa, ma una relazione da mantenere e in cui stare, accogliendo silenzi e parole, tiepidezze ed entusiasmi, fatiche e gioie.
O Signore, la richiesta di Tommaso non è poi così strana, come appare a molti. Vuole vedere e toccare perché gli sembra impossibile che la morte non abbia potuto trattenerti. Vuole vedere e toccare perché troppo grande è stato il dolore che ha provato, per dirci che non è facile credere in te, Crocifisso e Risorto. E chiede anche a noi di compiere il suo itinerario per arrivare alla fede: un cammino in cui il dolore accetta di aprirsi alla speranza e il dubbio alla fede.
Il Capocordata
Bibliografia consultata: Girolami, 2023; Laurita, 2023.
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