"La corruzione spuzza, la società corrotta spuzza e un cristiano che fa entrare dentro di sé la corruzione non è cristiano, spuzza". Papa Francesco nel suo discorso a Scampia sabato 21 marzo, ricorre ancora una volta a un artificio linguistico perché la sua denuncia non cada inascoltata. Non inventa un vocabolo come capitato in passato, ma attinge al dialetto, perché "spuzza", con quella 's' i più che quasi fa pensare a un errore, possa vibrare le coscienze di chi lo ascolta.
Prorpio a uno sbaglio, chissà, avranno pensato i responsabili della comunicazione vaticana che qualche ora più tardi hanno pensato di correggere il testo e tornare all'ordinario "puzza". Ma, siamo convinti, Papa Francesco era perfettamente consapevole della scelta del vocabolo.
"Spuzzare" termine dialettale delle regioni del Nord, è presente anche nel dialetto genovese. E qualche tempo fa, Bergoglio confessò in una intervista come da piccolo gli avessero insegnato "le parolacce in genovese". Il dialetto, le sue origini oriunde, i ricordi: c'è probabilmente molto di questo bagaglio di memorie di Papa Francesco all'origine del suo reinventare un linguaggio.
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