La vera interprete della rinascita è soprattutto la Regina della Cucina Romana, scomparsa pochi anni fa: Anna Dente, cuoca dell’Osteria di San Cesario (San Cesareo), ai Castelli Romani. Anna Dente era la paladina della cucina popolare. Ci sono persone che ti conquistano per la loro apparente ingenuità, il candore che appartiene a epoche passate e che oggi è sempre più raro, nascosto, mascherato. Se c’è viene coperto, per paura di sembrare fragili.
Anna Dente era una persona schietta, verace, non fingeva mai. Ha sempre vissuto in un paese di campagna ma da lì è riuscita a conquistare il mondo, grazie alla forza del carattere, al mestiere, al saper fare e alla convinzione della fondatezza dei propri valori. Era e resta la cuoca-norcina che ha portato nel mondo la cultura gastronomica della Capitale. Ha girato il mondo intero, ospite di alberghi, organizzazioni e personaggi importanti: capi di stato, attori di Hollywood, imprenditori, esperti di gastronomia internazionali. Eventi, Fiere, Festival, Expò, Cene di Gala.
Ha cucinato a New York, Tokyo, Los Angeles, Londra, Parigi, Miami, Bruxelles, Hong Kong, Londra. Senza parlare una parola di inglese è riuscita a farsi capire e a farsi voler bene da tutti. La sua storia è stata raccolta nel libro “La ultima Ostessa” curato da Paolo Massobrio, con l’aiuto della figlia di Anna, Angela Ferracci.
“Io interpreto e non re-interpreto la cucina romano- laziale, non ri-scopro la cucina tradizionale romano-laziale, semplicemente non l’ho mai abbandonata”, sosteneva Anna, come si legge nel saggio a lei dedicato. “Io non sono un manager della ristorazione; non sono un architetto o un pittore del piatto; non sono micragnosa nelle porzioni (a Roma “micragna” significa penuria, pochezza, mancanza, avarizia); quando ci si alza dalla mia tavola si è sazi e non bisogna cercare un altro ristorante nelle vicinanze o correre a casa per…andare a mangiare. È proprio la qualità della materia prima che mi permette di interpretare al meglio la mia cucina”.
Quali fossero i fondamenti della sua cucina lo si legge dalle ricette pubblicate, nominate in un romanesco arcaico che neanche più a Roma si può ascoltare.
Le minestre e i primi: Gnucchitti de raniturcu a la caprinacotta, Pasta e broccoli in brodo d’arzilla, Fettuccine a la “Nonno Emilio”, a la romana co le regaje de pollo, Gnocchetti a coda de soreca cor sugo, o a la matriciana, o cor sugo de pecora, de patate cor castrato, Rigatoni ar sugo de coda a la vaccinara, co’ la pajata de vitella mongana, Lane der pecoraro a la caprinacotta, Pulenta co’ le spuntature e zazzicchie, Rigatoni alla carbonara, Spaghetti cacio e pepe, Rigatoni a la gricia co’ la ricotta.
Le carni del quinto quarto: Animelle sale e pepe, Animelle sale e pepe co le puntarelle, co’ li funghi porcini der Monte Algido (quann’è staggione), Pajata de vitella montagana arosto, La Sabbatina, trippa a la romana (er sabato).
Abbacchio a scotadeto a li ferri, Scottona Chianina, biestecca o tagliata, Abbacchio ar forno co le patate, Abbacchio a la cacciatora oppure co’ mentuccia e pecorino al forno, Baccalà in umido, Ciumache de San Giovanni (quann’è staggione), Tordi matti a la zagarolese (solo espressi), Pollastra a la cacciatora, Guanciola de manzo ar Cesanese.
E poi i formaggi: Ricotta de la Campagna Romana, Misto de caci…
L’erbe: Carciofoli cimaroli a la romana (quann’è tempo), a la giudia (quann’è tempo)
Erbe servatiche crude o cotte de la Campagna Romana: raperonzoli, ramoracce, salsafine, cavolacci (quanno se trovano), Puntarelle co l’alice, Patate ar forno.
I dolci: Torte, Grostate, Pan de Spagna, Amaretti e Ciammellette ar Vino, sò fatti da la Sora Anna e da la Sora Maria, Misto de dorci, Porvere de stelle de la Sora Anna.
Non ci sono segreti, è l’esperienza la base delle sue ricette
Quali erano, non i segreti, come usano chiedere giornalisti improvvisati di oggi in tv, ma gli accorgimenti, le conoscenze, le sapienze che Anna adoperava per realizzare i suoi piatti? Anna rispondeva così: “Si devono usare i condimenti giusti, gli aromi e le spezie e anche questo si è perso. Ma soprattutto si è perso il contatto con la natura, il rispetto della stagionalità dei prodotti. Neanche gli addetti ai lavori – talvolta – sanno più far da mangiare. Il peperoncino innanzitutto. Poi l’alloro, il rosmarino, l’origano. E possibilmente tutti i profumi dell’orto.
Cos’è cucinare, è solo tecnica o anche altro? Le chiede Paolo Massobrio
“Cucinare per me è qualcosa che si sente dentro, che si deve amare profondamente. La regola d’oro è organizzarsi. Se il tempo è poco bisogna preparare le basi per impostare il pasto in anticipo. Non amo il congelato. Nella cucina si deve privilegiare il fresco”.
Per andare avanti bisogna guardarsi indietro
Quando nel novembre del 1995 venne inaugurata la sua Osteria alle porte di Roma, a San Cesareo, il motto era che “La più grande rivoluzione è tornare al passato”.
Il menù prendeva spunto dai ricettari del 1500 fino al 1700. In molti le dissero che era una follia e che non poteva funzionare. Quelle ricette erano vecchie e superate. I piatti dei contadini erano banali e tutti li sapevano fare se volevano. Invece quei piatti lei li ha portati in tutto il mondo, sui giornali, in televisione dove era spesso ospite a La Prova del Cuoco, a Unomattina, a Linea Verde, ai Tg.
Le ricette della tradizione piacevano ai personaggi più importanti del mondo, ai celebri gastronomi stellati, che andavano a cena da lei appena era possibile. “Non parlava nessuna lingua e anche poco l’italiano, aveva frequentato fino alla terza media, ma si faceva capire e con il suo sorriso ha conquistato quelle persone importanti.” Così racconta la figlia Angela nel libro “La ultima Ostessa”.
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