Nei primi anni di liceo non avevo una precisa idea politica. Ma erano gli anni della guerra in Vietnam, dei figli dei fiori e delle avvisaglie del contrasto generazionale che, da lì a poco, sarebbe esploso nella rivolta del “sessantotto”. Impossibile non schierarsi. Il mio liceo confinava con l’Ambasciata Sovietica e anche io mi feci trascinare dal corteo spontaneo che, in un attimo, arrivò dalla scuola ai cancelli dell’Ambasciata, per protestare contro l’invasione della Cecoslovacchia.
La protesta era guidata dagli studenti di destra, che con il loro puerile neofascismo affascinavano molti ragazzini. Con loro, che si battevano per un fatto concreto, iniziai a interessarmi di politica attiva. Ero quindi fascista? Poi un amico, divoratore dei “Pocket Mondadori” mi regalò un libro con i discorsi di Togliatti.
Perché mai avrei dovuto leggerlo? La sua risposta brutale fu: “Perché così cominci a capire qualcosa e smetti di fare il cretino”. La curiosità mi spinse a leggerlo e lo feci tutto d’un fiato. Un libro può cambiarti la vita e in quel libro trovai, in ordine e in un attimo, tutte le convinzioni che fino a quel momento erano accatastate nella mia testa in modo confuso. Ero quindi comunista? La classificazione in categorie, che risponde solo al desiderio di etichettare l’avversario per demonizzarlo o infangarlo, è sempre odiosa.
La risposta alla mia domanda la trovai successivamente, scoprendo che alle parole che avevo letto corrispondevano i fatti. Onestà, serietà e rigore erano impersonate da uomini e donne che si battevano davvero per la giustizia sociale, con un fermento di idee verificate costantemente nella società, con azioni di indubbia concretezza. I dirigenti, ai vari livelli, fino ai leader più carismatici, erano credibili e all’ideologia astratta corrispondeva l’esempio dei comportamenti e la capacità di affiancare i cittadini nell’affrontare i problemi.
Quelle idee, per i limiti dell’ideologia guida e per l’incapacità di adeguarle ai cambiamenti seguiti alla caduta del muro di Berlino, si dissolsero fatalmente e qualcuno si illuse che bastasse cambiare il nome o dotarsi di una organizzazione leggera, per affrontare le nuove sfide lanciate dall’innovazione tecnologica, dalla globalizzazione e dalle crisi cicliche provocate dalla speculazione finanziaria.
Qualche leader si rifugiò nelle categorie del passato, altri le abbandonarono senza costruirne di nuove, ma quasi nessuno seppe elaborare proposte in grado di fronteggiare gli effetti collaterali di quei cambiamenti: precarietà nel lavoro, divario crescente tra tra ricchi e poveri e tra nord e sud del mondo, migrazioni di massa incontrollabili. All’incapacità di dare risposte univoche corrispose, peraltro, la nascita di fazioni, unite essenzialmente da intenti di potere.
La concretezza della Sinistra si è via via smarrita, in una visione meno ideologica, ma anche meno concreta, nella quale le grandi idee sono state sostituite da slogan o concetti astratti e spesso elitari e incomprensibili per il popolo, il quale si è progressivamente allontanato dalla sinistra e dalla politica.
Il popolo soffre i cambiamenti repentini più della borghesia o degli intellettuali, che spesso ne sono gli artefici. Quando il popolo rimane privo di una guida forte, diventa preda delle paure, diffuse ad arte dai media o da improvvisati tribuni, destinati a essere bruciati in breve tempo.
Ma se tutto è cambiato, non è cambiata quella che dovrebbe essere l’essenza della politica, che consiste nel dare risposte e soluzioni ai problemi immediati dei cittadini, inserendoli, possibilmente, in un progetto di media prospettiva, atteso che il lungo termine non è più compatibile con le accelerazioni impresse alla società dagli eventi imprevedibili che si susseguono.
Non è vero che Destra e Sinistra non ci siano più, ma è vero che troppo spesso le risposte della sinistra sembrano quelle della destra e viceversa. In questo quadro, disordinato e confuso, condizionato comunque da fattori esterni che spesso sottraggono autonomia decisionale ai Governi, entrambi gli schieramenti non anticipano ma rincorrono i problemi e solo chi ha la capacità di capire e interpretare meglio il “sentimento” popolare viene premiato dall’elettorato.
Gli elettori possono essere condizionati e persino ingannati dal cosiddetto “main stream” dell’informazione, ma riconoscono ancora la concretezza delle proposte e la chiarezza dei ragionamenti. Non è una novità che le persone apprezzino e tendano a seguire chi sembra capire meglio la loro realtà. Rendere compatibili i nobili principi e i diritti astratti di una società ideale, con la durezza dei problemi quotidiani, non è facile.
Ancora più difficile è convincere le persone miti ed oneste, che sono la maggioranza, a rispettare le regole e assolvere ai propri doveri. Mentre lo Stato non è in grado di semplificare la loro vita liberandole dalla burocrazia ottusa, né di difenderle dai profittatori, i violenti, i furbi e tutti coloro che, per qualche ragione, non hanno nulla da perdere. Ma la politica è attraente solo se riesce ad ascoltare e dare risposte coerenti ai timori e alle urgenze del popolo e questo non ha nulla a che vedere col “populismo”, che viene stupidamente rinfacciato a chiunque abbia questa capacità.
La Sinistra, nel passato, ha affrontato problemi altrettanto complessi di quelli che stiamo vivendo, come il terrorismo, di varia e oscura matrice politica, che nella seconda metà del novecento gravava come una cappa insopportabile sulla vita quotidiana di tutti i cittadini. Ma persino in quel clima arroventato, i partiti popolari non rinunciavano ad ascoltare e a dare risposte alle aspirazioni di grandi masse di giovani, donne e lavoratori, che reclamavano nuovi diritti. Aspirazioni egualitarie, che i partiti seppero innestare nel processo di modernizzazione democratica della società italiana, togliendo forza anche al terrorismo. E’ cosi difficile ritrovare oggi quella visione, quel metodo e quella concretezza?
Non possiamo nasconderci che la politica è ormai costretta a misurarsi con una società che vive di immagine e comunicazione istantanea. Questo pone il tema, non secondario, della scelta del leader e dei “testimonial” che devono incarnare la proposta politica e renderla attraente anche per quei giovani che di politica non vogliono sentire parlare.
Ma questo non può trasformarsi nella penosa ricerca di un leader ammiccante o nella delega della comunicazione politica agli “influencer”, “tiktocker” o “radical chic” più gettonati, ma totalmente ignari dei problemi di chi lavora o di chi vive nel disagio. Serve invece chi sappia parlare al popolo e ai giovani in modo chiaro, semplice e credibile, magari utilizzando il fascino intramontabile dell’esempio e della coerenza. Tanto per dire, qualcuno che somigli vagamente al Presidente Sandro Pertini, per niente facile, ma amato come pochi, sia dai giovani che dal popolo.
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