Gesù si sposta nel territorio dei pagani (Mt. 15, 21-28). L’incontro con una donna cananea “converte” Gesù. E mi piace che ci lasciamo convertire da esempi che, pur non venendo dai nostri ambienti, tuttavia rendono grande la nostra fede.
L’incontro è casuale per Gesù e il gruppo dei suoi discepoli. La strada di Gesù s’incrocia con quella della donna, con il dolore e l’angoscia di questa madre. La donna grida e chiama Gesù con due titoli diversi: “Figlio di Davide”, tipicamente giudaico, e “Signore”, il titolo del Gesù risorto (v. 22). La donna sembra conoscere nell’intimo Gesù, senza averlo mai incontrato. Non chiede nulla per sé, semplicemente chiede l’aiuto di Gesù per sua figlia, “stretta” da uno spirito maligno: “Mia figlia è molto tormentata da un demonio” (v. 22).
La donna è l’immagine del credente e del povero che si affida al Signore: non ha nessun altro, se non lui, al quale affidare i suoi dolori e dispiaceri. Riconosce che l’unico che può ascoltare il grido del popolo sofferente è il Signore. Colei che non appartiene al popolo di Israele sa invocare “correttamente” l’Unto del Signore: la donna tocca Gesù sul vivo del suo ministero, riconoscendogli un potere che nessun altro ha, quello di togliere il male. Già questa è una sorpresa che dovrebbe farci pensare: il Signore è venuto proprio per togliere il male e questa donna pagana ci riconsegna una richiesta, oggi un po’ fuori moda, da rivolgere a Gesù.
La donna riconosce a Gesù un’autorità nel bene, il potere di cacciare ciò che fa compiere il male e di restituire alle persone una vita bella, capace di fare il bene, così come Dio l’aveva pensata. Se il male non mi fa paura, mi fa pensare che non abbiamo più bisogno di Gesù per toglierlo. La donna è preoccupata per la figlia: grida verso Gesù, insiste, perché ogni richiesta appassionata richiede una altrettanto appassionata insistenza.
Gesù non risponde (v. 23). Si comporta da vero ebreo che segue la sua strada e la Legge di Dio. Gesù è venuto per le pecore perdute della casa di Israele (v. 24), mentre la donna è pagana e, come tutti i pagani del tempo, è considerata in modo dispregiativo. Il pane della Parola e della mensa è per i figli, non per i cagnolini. Quello che Gesù dice è per il suo popolo. Non per escludere gli altri, ma perché Israele sia un segno per tutti.
La donna insiste. Le sta troppo a cuore la figlia e sa che Gesù può guarirla. L’insistenza e la fiducia riposte in Gesù fanno scattare la replica della donna: saremo pure dei “cagnolini”, ma sono sufficienti le briciole per non morire di fame. Gesù pone la donna come esempio di fede che salva: egli stesso impara che la fede è qualcosa che si costruisce, che si suda, che si ottiene chiedendo.
Impara che la realtà del dolore, che non sarebbe appartenuta a Dio se non si fosse fatto uomo, è qualcosa che ci fa stringere al Signore, proprio nel momento in cui le nostre forze calano e non vediamo soluzione. Gesù si “converte” davanti alla semplice e tenace fede di una donna pagana, che pur non avendo diritto di mangiare alla tavola dei figli, tuttavia, per il desiderio e la forza dell’amore, diventa a pieno titolo esempio di fede.
Ai confini della Galilea Gesù incontra una donna di grande fede (v. 28): una fede cristallina, granitica, forte come una roccia. A differenza dei discepoli (di poca fede), la madre che si rivolge oggi a Gesù ha una fede senza tentennamenti. Il suo ritratto è quello di una donna tutta di un pezzo: la sua vita sta ora tutta nella sua fede. Accanto a lei l’evangelista presenta un Gesù che sembra pensare solo agli Ebrei, alle pecore perdute della casa di Israele, sembra escludere gli altri. Egli è il Messia di Israele ed è venuto solo per Israele (v. 24).
La richiesta della donna è chiarissima e supplica Gesù di avere un occhio di riguardo per la figlia, messa in difficoltà da uno spirito maligno. Ma Gesù non le risponde (v. 23). L’intercessione parte dal cuore degli apostoli che si fanno portatori di una evidente necessità (v. 23). Possibile che Gesù abbia un cuore così duro e selettivo? E’ la donna a offrire la risposta, la donna non molla la presa: “Signore , aiutami!” (v. 25). La donna attende, come il cagnolino fedele, che dalla tavola cada almeno qualche frammento, qualche briciola di pane. E Gesù finalmente risponde. La fede della donna è davvero grande e il suo desiderio ottiene perché intessuto di libertà e amore. Ed ecco allora il miracolo: la donna chiede con fede e Gesù concede con larghezza.
Gesù ha avuto compassione della folla, l’ha sfamata, è salito sul monte a pregare, ha raggiunto i discepoli sulla barca in mezzo al lago in tempesta e li ha risollevati dalla loro scarsa fede. Qui abbiamo una donna “lontana”, conosce il cuore di Dio, si prostra davanti a Gesù: a lei bastano le briciole che cadono dalla tavola, non vuole essere considerata figlia di Israele. La sua fede è grande e Gesù la riconosce. E’ una fede che sfama. E’ una fede che può guarire. E’ una fede che rende le persone discepole.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: D’Agostino, 2020.
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