La donna di Betania e l’unzione di Gesù
E’ interessante che sia una figura femminile a cogliere e intuire, prima che avvenga, la logica del sacrificio di Gesù
Una scena chiave
Non potendo analizzare tutto il brano della passione (Mc. 14,1 – 15,47), abbiamo deciso di concentrarci sulla scena iniziale (vv. 3-9). E’ centrale l’episodio della donna di Betania che unge Gesù nella casa di Simone il lebbroso. Questa scena fornisce la chiave per comprendere anche tutto il discorso successivo, con la frase che Gesù pronuncia: “Dovunque, in tutto il mondo, sarà annunciato il vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che ella ha fatto” (v. 9).
Cosa ha fatto di così speciale questa donna? Ha rotto un vasetto contenente un profumo molto costoso, creando scandalo intorno al Maestro, perché effettivamente trecento denari doveva essere una cifra ragguardevole (oggi sarebbero ventimila euro!). E l’obiezione contro questa donna viene sollevata proprio per sfamare degli affamati: “Si poteva venderlo e il ricavato darlo ai poveri” (v. 5).
Eppure Gesù difende questa donna e il suo inutile spreco, attribuendole tutta questa importanza. L’evangelista Marco, poco prima, ha parlato dei sommi sacerdoti e del bisogno di arrestare Gesù e che non poteva avvenire durante la festa di Pasqua e degli Azzimi perché avrebbe destato l’ira della folla. Inoltre, si dice che Giuda Iscariota, uno dei Dodici, ha deciso di consegnare Gesù ai capi dei sacerdoti e che cercava l’occasione propizia per farlo. Ma cosa è successo di così grave per far scattare il tradimento di Giuda? Chiaramente il gesto della donna, e la difesa che Gesù le ha fornito, sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
La logica di Gesù
Giuda e alcuni dei discepoli si “adirarono” (v. 5) verso la donna per lo spreco che ha compiuto rompendo quel vasetto contenente profumo preziosissimo ungendo il capo di Gesù. Il termine “spreco” è quello che Gesù usa quando insegna “a perdersi” senza riserva alcuna: “Il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato”. E questo non rientra nei progetti umani che ricercano potenza e gloria. Il testo dunque vorrebbe insegnare a entrare nell’ottica di Gesù che percepisce la sua missione come uno “spendersi” completamente per gli altri, con un consegnarsi agli uomini per insegnar loro quella docilità al Padre che solo il Figlio poteva inaugurare sulla terra.
E’ questa una comprensione che anche i primi cristiani hanno ottenuto solo dopo la Pasqua. Proprio per questo il gesto della donna è così centrale. Qualcuno è riuscito a percepire che Gesù si stava donando, che la croce non era un incidente di percorso o un’assurdità voluta dal caso. In quel “consegnarsi” c’era un Dio che si abbandonava agli uomini, per non cedere al giudizio di condanna che avrebbe dovuto colpirli. Per tale riscatto non c’era prezzo e ben valeva allora lo spreco del nardo purissimo, semplice gesto con cui rendere onore a chi offre un servizio impagabile.
Il rilievo del femminile
E’ interessante che sia una figura femminile a cogliere e intuire, prima che avvenga, la logica del sacrificio di Gesù. Per questo motivo egli non può che lodarla e davvero il cristianesimo farà memoria di lei, perché ricordare il suo gesto significa affermare che l’umanità è capace di corrispondere all’amore di Dio.
Anche il Vangelo di Giovanni copierà questa scena, attribuendola non a una donna anonima ma a Maria, sorella di Lazzaro. Avendo colto che risuscitando suo fratello Gesù sarebbe andato incontro a morte certa, lo unge in vista della sua morte. Che i vangeli abbiano avuto questa attenzione per il gusto e l’intuito femminile è molto interessante e trova una conferma anche nella povera donna (Mc. 12, 40-44) che fa dono al tempio e si riporta anche in questo caso la cifra versata (due spiccioli). Nei due brani è diverso lo status sociale di queste due donne, ma l’idea è che entrambe abbiano donato tanto, se non addirittura tutto, “tutto quanto aveva per vivere” (v. 44).
In entrambi i brani si parla poi di poveri e in entrambi si critica invece il potere maschile: Giuda e gli scribi. Cristo nella sua passione e morte ci insegna a dare tutto, senza paura: a noi suoi discepoli è chiesto da che parte stare, se seguire il suo esempio “sprecandoci” per Lui e per gli altri, oppure se tradirlo come Giuda.
Cederemmo così alle logiche del mondo, che ci insegna a risparmiarci, a non faticare, a lasciar passare avanti gli altri pensando in questo modo di essere più furbi. Mentre scopriremmo alla fine di essere solo più tristi, come il giovane ricco che non sa rinunciare a sé stesso per seguire Gesù (10, 22).
La domenica delle Palme ci fa entrare nella Settimana santa e sconvolge subito la nostra logica umana. Lo fa presentandoci il Figlio di Dio che avanza a dorso di un asino. Lo fa mettendoci davanti alla croce sulla quale muore dopo essere stato condannato, schernito, colpito con violenza. Siamo invitati a provare lo stesso entusiasmo dei poveri, che quel giorno hanno riconosciuto in Gesù il Messia. “Sì, veramente quest’uomo è il Figlio di Dio” (15, 39).
Ti acclamano, Gesù, e tu non fai nulla per farli tacere perché sta per giungere la tua ora. Tu scegli di entrare nella città di Gerusalemme a dorso di un asino, come un uomo mite. Non c’è alcun percorso trionfale che ti attende dietro l’angolo: sarà piuttosto la strada che porta alla collina del Golgota.
Sì, Gesù, tu mi insegni a non illudermi quando qualcuno mi riempie di lodi, di apprezzamenti. Tu mi chiedi di amare senza pretendere di essere compreso e stimato da tutti, di andare incontro alla croce con la serena determinazione di chi ha previsto anche le ostilità, ma sa di poter contare in ogni momento sull’amore del Padre, sulla sua vicinanza.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Flori, 2024; Laurita, 2024.