La donna è mobile…ma pure l’elettorato
Il risultato di Roma, ci offre, l’imprevedibile scenario del disastro, senza precedenti, della destra
“La donna è mobile”, d’accordo, ma pure l’elettorato italiano non scherza. Avete visto cosa è successo alle elezioni amministrative? Roba da non credere. Il risultato di Roma, soprattutto, ci consegna l’imprevedibile scenario del disastro, senza precedenti, della destra, che perde addirittura nelle sue roccaforti tradizionali di Roma nord. Un disastro ingigantito dal fatto che la destra incassa questo pessimo risultato nel momento più critico della storia del Partito Democratico.
Ripensando a cinque anni fa, al baldanzoso assalto del Campidoglio condito da cori e saluti fascisti, oggi mi torna alla mente il telegramma inviato dal generale Diaz al Re, dopo la disfatta austriaca del IV Novembre: “…I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”. Lo ricordate? Quella sconfitta relegò l’Austria ad un ruolo secondario tra le nazioni d’Europa, ma al centrodestra, che è ancora vivo e vegeto, non succederà la stessa cosa; tuttavia questa sconfitta, che non è limitata a Roma e si estende un po’ su tutta l’Italia, deve fare riflettere Alfano.
Ma cos’è successo esattamente? L’analisi sembra piuttosto semplice: Il Movimento di Grillo, incapace di trasformare il suo straordinario successo di tre mesi fa in un Governo di cambiamento e succube del suo leader, sempre più parolaio e inutilmente aggressivo, ha spinto i suoi elettori a rintanarsi nell’astensione.
Il centrodestra viene punito, sia per la modesta proposta politica, limitata ad approssimative manovre fiscali, che per l’inettitudine dei suoi amministratori locali, che hanno spinto alla sfiducia ed all’astensione il proprio elettorato.
Come spesso avviene, tra i due “suicidanti” il terzo gode ed il PD incassa, senza troppa fatica, un risultato straordinario. Nel PD nessuno si illude che questo sia un successo, perché il vero sconfitto è la democrazia. O meglio, la capacità dei partiti e dei movimenti – quindi anche del PD, temporaneo vincitore – di tornare a parlare al cuore dell’elettorato. Questo non è un bene e stende un’ombra preoccupante sulla nostra tenuta, non tanto democratica quanto civile.
L’elettorato che non partecipa non è di per sé un pericolo per la democrazia, ma la sua apatia e la nausea verso gli strumenti della partecipazione, possono diventare il fulcro sul quale poggiare la leva di qualunque svolta, populista o autoritaria. Ma, almeno per ora, non è questo il problema che abbiamo davanti.
Il PD e il centrosinistra non vincono perché sono forti o perché la loro proposta è più convincente, ma perché riescono a mantenere intatto lo “zoccolo duro”, quella parte di popolo che nelle ragioni culturali e sociali del centrosinistra trova la propria ragione di essere e la propria essenza politica.
Nonostante gli errori dei dirigenti, capaci di demolire qualunque resistenza, quella fede resta incrollabile e quello zoccolo resta compatto. E non sarà mai disponibile a seguire leader che non abbiano nel loro DNA quelle ragioni e quella base culturale. Ne sa qualcosa Renzi, che nonostante la sua indiscutibile capacità attrattiva, trova le difficoltà maggiori proprio nel convincere e sedurre quella parte del popolo di sinistra, coriacea e adamantina.
Il centrosinistra, in questo quadro, vince facilmente. E vince anche a Roma, dove Ignazio Marino, che pure non aveva particolarmente entusiasmato gli elettori, fa man bassa in Campidoglio e in tutti i Municipi della Capitale. Un risultato ottenuto semplicemente portando a votare i militanti, le loro famiglie e gli elettori che votano a sinistra “a prescindere”.
Sono stati però anche aiutati da Alemanno e dal suo cerchio magico. Adesso che la campagna elettorale è finita, anche nel centrodestra si dice apertamente che l’Amministrazione di Alemanno è stata un fallimento. L’ex vicesindaco, Sveva Belviso, ha detto che la sconfitta è stata causata dalla “spartizione dei posti” secondo la “logica delle correnti” senza premiare “le competenze e il merito”, favorendo “un livello culturale non all’altezza di una città come Roma”.
Insomma, una gestione approssimativa, non all’altezza delle sfide che propone una grande città, affidata agli amici e alle loro correnti e non a coloro che ne avevano le capacità. Una condanna senza appello.
Ora tocca a Marino. E’ partito toccando le corde più sensibili del popolo romano: onestà, semplicità, umiltà, attenzione ai più deboli ed alle periferie e insistendo sulla necessità di scegliere secondo competenza e merito. Parole melodiose, per chi vuole il bene di Roma. Parole spesso abusate, ma raramente messe in pratica, a destra come a sinistra. Marino sarà capace ora di passare dalle parole ai fatti, mettendo in moto subito e nel modo migliore la macchina capitolina.
Una delle accuse di Alemanno in campagna elettorale, era che Marino fosse estraneo alla città e non ne conoscesse i problemi e i meccanismi di funzionamento. Ora Marino dovrà dimostrare che Alemanno aveva torto. E può farlo solo rinunciando alla tentazione, tipica di chi si misura per la prima volta con un grande problema, di pensare di cambiare il mondo chiudendosi nel suo guscio e costruendo, a sua volta, un altro “cerchio magico”. Dovrà invece ascoltare coloro che la città ed i suoi umori li conoscono alla perfezione, per averli già sperimentati sulla propria pelle. Primi tra tutti coloro che, in questi mesi, hanno raccolto consensi, parlando alla gente e indicando una prospettiva di rinnovamento e cambiamento. Consiglieri comunali, Presidenti di Municipio, attivisti e militanti di base. Poi deciderà di testa sua, perché alla fine tutte le responsabilità ricadranno su di lui, come suoi saranno gli eventuali successi.
Una sfida difficile, ma che potrebbe essere, per lui e per tutto il PD che rappresenta, una chiave di volta, anzi di svolta, per una nuova prospettiva per Roma e per il Paese. Nel frattempo, la geografia politica rischia di modificarsi ancora. Se dovessero concretizzarsi le voci che parlano dell’eventualità che una consistente parte di parlamentari di Grillo possa abbandonare il Movimento, per formare un gruppo a sé stante, gli scenari potrebbero nuovamente cambiare e con essi le alleanze. Letta potrebbe essere sfiduciato per formare un nuovo Governo senza il PdL. Ciò potrebbe nuovamente incidere sull’opinione pubblica, spostando ulteriormente l’elettorato. In quale direzione e con quali risvolti? Questo Dio solo lo sa.