Stranamente, proprio nel momento più alto, quando al battesimo lo Spirito era disceso su di lui e la voce dal cielo gli aveva detto: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”, proprio allora Gesù viene messo alla prova (Mc 1, 12-15). Il testo dice che “subito lo Spirito lo spinse nel deserto” (v. 12): il termine “subito”, che ritorna spesso in Marco, indica l’impellenza dell’annuncio del Vangelo che davvero nessuno può ostacolare e fermare.
Come lo Spirito “subito” era sceso su di lui, ora “subito” spinge Gesù nel deserto per essere tentato da Satana. Non può non stupire questa azione dello Spirito che prima esalta il Figlio e poi sembra proporre l’azione contraria. In verità le due azioni sono correlate: come dice bene la tradizione sapienziale, un padre che ama un figlio lo mette alla prova, perché vuole vederlo davvero crescere e maturare. Il tema del mettere alla prova non è negativo ma al contrario dice la solidità della relazione.
Fa così anche Dio con il suo popolo nel deserto nei quarant’anni dell’esperienza dell’esodo, per scoprire che cosa c’era nel cuore dell’uomo e perché quest’ultimo imparasse a vivere non solo per il cibo, ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio.
In questo senso il deserto era stato anche un’esperienza di remissione dei peccati. Questo non può valere per Gesù, che non aveva peccato: ma questa indicazione allora rafforza l’importanza della messa alla prova che non è qualcosa da scontare, un prezzo da pagare per rimettere un debito, ma è un esercizio che fa bene a tutti, anche a chi è già perfetto. Proprio l’essere stato messo alla prova in quei quaranta giorni ha permesso a Gesù di essere pronto nel momento dell’arresto di Giovanni: grazie al deserto che lo Spirito gli aveva fatto provare, sa come affrontare le difficoltà della vita non rinunciando ma anzi rilanciando l’annuncio del Vangelo.
In questo suo sostare, Gesù si confronta con Satana, con le “fiere” del deserto e con gli angeli che lo servono. Impara così, in un ambiente ostile, a lottare con il male ma a trovare anche i suoi consolatori (gli angeli). E’ questa una descrizione affascinante del cristiano che deve imparare appunto a “permanere” in ambienti ostili, portando avanti con coraggio la passione per il Vangelo. Imparando a sopportare le nostre prove, impariamo a non arrestarci di fronte alle difficoltà.
La fede si configura come un’esperienza da vivere e non soltanto come una teoria; è vivendo sulla base della fede che scopriamo la potenza del Vangelo, la sua energia che ci permette di affrontare ogni tipo di prova, motivo per cui il cristiano non teme più le tentazioni, dato che certe fatiche sono più che altro delle occasioni per sperimentare ancora una volta la cura di Dio che, nella prova, non fa mancare il suo sostegno.
Per l’evangelista Marco, il Vangelo ha come suo principio, come sua base, Gesù Cristo: è lui stesso la buona notizia, di morte e risurrezione, che insegna ad affrontare sul suo esempio e con la sua forza ogni sfida della vita, fino a sperimentare che perfino nella morte Dio non ci abbandona mai.
In questo modo, riscoprendo tutte le volte che Dio è con noi e non ci abbandona, possiamo davvero convertirci e vincere le nostre paure che ci fanno invece dubitare di lui, ci fanno pensare che non ci sia o, se esiste, sia lontano, distaccato. Non è così: egli è sempre con noi e lo è soprattutto nei momenti di prova.
L’evangelista Marco, a differenza degli altri racconti evangelici delle tentazioni, non precisa in dettaglio le tentazioni di Gesù, ma presenta il tempo passato da Gesù nel deserto come un periodo prolungato di tentazione: non una realtà puntuale, ma una prova continua a cui non è sottratto neppure il Messia.
Dunque, la tentazione fa parte della nostra esistenza cristiana e, in generale, della vita di tutti noi. Essa è legata alla nostra fragilità, alla nostra debolezza: del corpo e dell’anima, dell’intelligenza e della volontà. Quando ci confrontiamo con la sofferenza e il dolore, quando siamo aggrediti dalla malattia e dallo sfinimento, è lì che siamo chiamati a reagire nella pazienza e nella speranza.
E’ legata ai tanti bisogni che ci assalgono: bisogno di approvazione e di consenso, di stima e di riconoscenza, di onori e di appoggi. Non è facile accettare la solitudine di certe prese di posizione, i rischi che comporta la fedeltà a Dio e all’umanità.
Qual è la risorsa segreta che permette a Gesù di vincere la tentazione, di attraversare vittorioso il tempo della prova? Non la sicurezza riposta in sé stesso, ma la fiducia incrollabile nel Padre suo, nel suo amore, nella sua vicinanza. E’ questa Buona notizia, di un Dio che prende a cuore la nostra sorte, il faro che ci accompagna nell’oscurità di ogni tempesta.
Anche tu, Gesù, sei stato messo alla prova, ti sei trovato davanti a scelte difficili in cui non era affatto spontaneo decidere di essere il Messia povero, disarmato, mite e misericordioso. Come hai fatto a resistere alla seduzione del successo, della popolarità assicurata? Come hai fatto a rinunciare a ogni garanzia, a ogni privilegio, e a metterti nelle nostre mani, a correre il rischio di essere tradito, catturato, condannato, crocifisso?
C’è un’unica spiegazione a tutto questo ed è la fiducia incrollabile che hai nei confronti del Padre tuo, ed è l’amore che hai per l’umanità. In fondo è proprio questo il Vangelo che ci hai annunciato con tutta la tua vita.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Flori, 2024; Laurita, 2024.
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