La festa dei Santi
Le beatitudini del discepolo di Gesù
Le “beatitudini” (Mt. 5, 1-12a), il brano evangelico che ascolteremo nella festa dei Santi e nella Commemorazione dei fedeli defunti, elencano le condizioni per diventare di diritto cittadini celesti a coloro che sulla terra celebrano la comunione con coloro che già godono della visione di Dio. Esse inquadrano sinteticamente la spiritualità del discepolo di Gesù. Le otto “beatitudini” di Matteo ci si presentano come otto frecce scagliate al bersaglio del bene ultimo della vita eterna e provocano realmente un vero stato di tensione spirituale. La promessa della “beatitudine” eterna si rivolge a categorie ben determinate: “poveri”, “misericordiosi”… trasformandosi in un vero e proprio anticipato giudizio finale.
Le “beatitudini” ci fanno sentire ancora vibrare l’originale immediatezza della proclamazione di Gesù, il suo annuncio incondizionato della salvezza, specialmente nella versione dell’evangelista Luca che appare più arcaica e originaria: Dio si curva sulla miseria umana, e salva. Tra questi ci sono i “poveri”: cioè, coloro che sono affranti dal dolore e dalla miseria, su cui Dio si curva con infinita pietà per annunciare la salvezza. Privi di beni e di sicurezza, oppressi, messi al margine della società e respinti, hanno imparato la fiducia in Dio, l’abbandono alla sua misericordia, l’attesa da lui solo della salvezza. Il termine “poveri” si è andato affinandosi e spiritualizzandosi, sino a definire l’atteggiamento religioso di creature che, consapevoli della terrena miseria, fanno di questa costatazione fondamento di speranza nella divina bontà.
L’ annuncio originario di Gesù si ripercuoterà nella vita della Chiesa primitiva senza perdere nulla del suo vigore originario. E’ naturale che la Chiesa primitiva vivesse le parole di Gesù, servendosene anche per la formazione spirituale dei credenti. In questo processo di catechesi attualizzante, la chiesa era certa di non tradire, ma di approfondire l’insegnamento personale di Cristo, e quindi di trasmetterlo con ancora maggiore fedeltà. Questo passaggio dall’annuncio alla catechesi lo si rileva nelle “beatitudini”; questo scivolamento da un uditorio universale (poveri, afflitti e affamati) a un gruppo ben preciso (perseguitati), fa sentire ben viva la presenza della chiesa. E così l’annuncio sorprendente di Gesù si è trasformato in un piccolo catechismo, che elenca aspetti della nuova vita del discepolo, se vuol trovarsi in condizione di meritare la “beatitudine” proclamata da Gesù.
L’annuncio primitivo della salvezza ai poveri si trasforma così in un invito alla “povertà secondo lo spirito”, alla bontà verso i miseri e i divisi dall’odio (misericordiosi e pacificatori) e infine alla fedeltà perseverante al Vangelo fino ad accettare il rischio supremo della persecuzione. Gesù riserva ai poveri la predicazione del suo Regno, ha scelto e praticato personalmente la povertà, l’aveva richiesta come condizione necessaria per far parte del gruppo dei suoi discepoli. Ma la tensione al Regno esige soprattutto il precetto dell’amore, da cui scaturiscono le beatitudini dei “misericordiosi”, coloro che si commuovono di fronte alla miseria umana e accorrono con amore; dei “pacificatori”, coloro che si commuovono di fronte alla disunione dei cuori e si prodigano per guarire queste ferite sociali; dei “puri di cuore”, di coloro che hanno un cuore libero da sentimenti cattivi verso il fratello.
L’interpretazione teologica di Matteo
Le beatitudini di Matteo sono state paragonate ad un maestoso atrio che introduce alla “cattedrale” del discorso della montagna, dove tratterà tre argomenti fondamentali: la nuova legge, la nuova giustizia e la ricerca esclusiva del Regno.
Ci si è chiesto se la beatitudine annunciata deve essere intesa come futura ( “saranno” ) oppure come presente (“sono”): la risposta è che la beatitudine va intesa “ora”, al presente, come suggeriscono la prima e l’ultima beatitudine: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli” e “Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il Regno dei cieli”. Anche nel commento alla beatitudine finale, la gioia è chiaramente attualizzata: “Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”. Quindi, anche in Matteo la tensione verso il futuro non esclude affatto un’esperienza attuale già fin d’ora “beatificante”; anzi, proprio quella tensione, operando efficacemente nel presente e assorbendolo, col pensiero, il desiderio, l’attesa nei beni futuri della salvezza, in qualche modo ne anticipa l’esperienza e la partecipazione. La dottrina del discepolo di Gesù come “beato” cittadino del cielo trova dunque il suo primo abbozzo proprio nella martellante proclamazione delle beatitudini: “beati” sono ora!
Inoltre, la dimensione cristologica delle beatitudini è evidente fin dalle prime righe del testo, dove si nota in Matteo la preoccupazione di legare strettamente alla persona di Gesù la proclamazione delle “beatitudini”. Il monte da dove Gesù proclama le beatitudini è il nuovo Sinai ed Egli il nuovo Mosè che proclama la nuova Legge. La figura di Gesù campeggia vigorosamente al centro delle singole “beatitudini”, che si rivelano un incontro personale con Cristo, in una specie anticipata “parusia” escatologica (venuta finale); col Cristo “povero”, col Cristo mite e umile di cuore, col Cristo perseguitato. Se si guarda in fondo, nelle “beatitudini” è Gesù stesso che si nasconde; accogliendole nella sua vita, il discepolo ha realmente accolto Cristo. Perciò è salvo.
I santi sono le creature “miti” e “povere”, “assetate” di salvezza, che hanno accolto l’annuncio di Gesù, che su di lui hanno modellato la propria vita, trasformandola, attraverso la “povertà” volontaria, la ricerca amorosa della “bontà”, la fedeltà eroica, in una tenace tensione al mondo divino; che infine sono riusciti a far della vita terrena un anticipo dell’esperienza finale in cielo, vivendo il messaggio delle “beatitudini” in unione d’amore e di fede con Cristo. E proprio per questo proposti dalla Chiesa alla nostra attenzione, affinché impariamo da loro, e otteniamo da loro di accogliere con umile gioia l’annuncio, di adattarvi coraggiosamente la vita, e di viverlo in Cristo.
Bibliografia consultata: Laconi, 1971.