Gesù ha scelto di accompagnarsi a dodici uomini: egli si è circondato di un “piccolo gregge” (v. 32), per quanto le folle che lo seguivano crescevano di numero. E’ ai suoi discepoli che chiede di essere vigilanti nella fedeltà (Lc. 12, 32-48).
L’esiguità del numero dei discepoli rispetto alla vastità della messe è un aspetto già emerso nell’inviare i “72” discepoli in missione. Ciò nonostante essi non devono aver paura (v. 32), perché al Padre celeste è piaciuto consegnare loro il suo Regno. E’ questo il tesoro indefettibile per il quale è necessario vendere tutto ciò che si possiede e darlo in elemosina (v. 33).
I discepoli, sgomberato il cuore dalle ansie e dalle preoccupazioni provocate dalla spasmodica ricerca dei beni materiali, possono riconoscere che il tesoro più prezioso è il Regno di cui il Padre fa dono ai discepoli del Figlio suo. Se il tesoro è nei cieli, anche il cuore sarà meno coinvolto negli affari mondani, e più sollecito delle realtà celesti (v. 34).
Cercare anzitutto il regno di Dio e porre il proprio tesoro nei cieli richiede di essere solleciti a cogliere i segni della regalità divina, che si manifesterà in pienezza al ritorno del Figlio dell’uomo nella pienezza dei tempi. L’immagine dei fianchi cinti e delle lucerne accese (v. 35) evoca l’uscita del popolo di Israele dalla schiavitù dell’Egitto. I discepoli devono imitare la sollecitudine con la quale gli schiavi attendono il ritorno del padrone quando ritorna dalle nozze per aprirgli le porte di casa immediatamente al suo rientro (v. 36).
La metafora nuziale nell’Antico Testamento esprime la relazione tra Dio e il suo popolo; nella predicazione di Gesù è utilizzata per esprimere la vigilanza che deve connotare la comunità che attende il ritorno del Figlio dell’uomo. Sono beati quelli che il padrone, al suo ritorno, troverà vigilanti, anche se arrivasse nel mezzo della notte o prima dell’alba: come forma di ricompensa per la loro vigilanza, sarà il padrone a cingersi i fianchi per passare a servirli mentre essi sono adagiati a tavola.
Il rovesciamento dei ruoli sociali è inatteso, perché servire a mensa compete ai servi, non al padrone; nessuna forma di gratitudine sarebbe dovuta a chi, come i servi, fa il suo dovere. La beatitudine alla fine della vita consentirà ai servi/discepoli di ereditare il regno di Dio.
Pietro chiede a Gesù se le sue parole sono riservate solo ai discepoli o valgono per tutti. Gesù risponde con una ulteriore parabola (v. 42), il cui protagonista è un servo, posto dal suo padrone a capo della sua servitù durante la sua assenza. Il racconto inizia con un quesito che ha lo scopo di suscitare la reazione dell’uditorio. Il servo “amministratore” deve essere fedele, affidabile e saggio per poter rispondere alla responsabilità che gli è stata affidata. La distribuzione del frumento ai servi sottoposti è un incarico che spetta all’amministratore; è un’operazione a cui egli deve attendere a tempo opportuno.
Se al rientro del padrone lo schiavo preposto a capo della sua servitù domestica avrà dato buona prova della sua fedeltà e della sua saggezza, potrà dirsi beato, perché come ricompensa gli sarà affidata l’amministrazione di tutti i beni che appartengono al suo padrone.
Se il premio per il servo fedele e saggio consiste nell’assegnazione di un incarico ancor più prestigioso all’interno della casa del padrone, la condanna per il servo iniquo prevede il suo allontanamento (v. 45). Al servo infedele è inflitto un terribile castigo perché, pur conoscendo la volontà del suo padrone, non si è adoperato in alcun modo per attuarla; anzi, ha scelto di profittare della sua assenza, per assumere atteggiamenti vessatori ed egoistici.
Una punizione più leggera, invece, è prevista per il servo che, non conoscendo la volontà del suo padrone, avrà commesso azioni meritevoli di percosse.
L’appello alla vigilanza è rivolto a tuti coloro ai quali è stato affidato molto: è ai discepoli che molto è stato dato, e molto di più sarà richiesto; lo schiavo preposto a capo della servitù del padrone rappresenta il discepolo a cui è affidata la responsabilità di proclamare l’imminenza del regno di Dio.
Il regno di Dio, presente e futuro, è una realtà che occupa il primo posto nella mente, nel cuore e nella volontà del discepolo. Se tutto dovesse “giocarsi” quaggiù, in una logica di forza e di potere, allora essere “un piccolo gregge” è chiaramente “perdente” nella società di oggi. Se invece risulterà decisiva la fedeltà di Dio alle sue promesse, allora vivere nella povertà, nella vigilanza, è la scelta giusta.
Le parole del vangelo che oggi ci raggiungono non vogliono suonare come una minaccia, ma come un invito alla saggezza, che ci mette nella condizione di raggiungere la felicità. Così il presente è obbligato a fare i conti con il futuro, la situazione di oggi con la realtà eterna, i nostri piccoli, limitati progetti con il piano di Dio e la sua offerta di grazia.
A cosa serve aver raggiunto una posizione di prestigio, godere di fama, avere responsabilità se ci si dimentica di rimanere fedeli e vigilanti Quando le realtà ultime verranno alla luce ci si accorgerà di “aver perso tempo” e consacrato energie a obiettivi che non lo meritavano. La vita del discepolo è una scommessa, piena di fede e di speranza, sul progetto di Dio, la scelta migliore, alla quale tutti siamo invitati a realizzare.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Landi, 2022; Laurita, 2022.
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