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La legge nuova

Dare “compimento alla Legge” significa farle raggiungere la pienezza della dimensione voluta da Dio, cioè la carità. Questa è il vertice di tutte le leggi; le riassume tutte, ne ordina il dinamismo, le gerarchizza, propone alla loro molteplicità (le leggi erano diventate 613!) di raggiungere questo fine supremo, dell’amore appunto. Dare alla carità questo primato assoluto, ecco l’essenza del ministero legislativo di Cristo, che deve essere l’essenza di ogni legislazione nella Chiesa. Questo “radicalismo” del discorso della montagna riguarda sia il discepolo, che si vede giudicato non in base alle opere ma dalla conversione del suo cuore, e sia la legge stessa, che trova nella imitazione dell’amore del Padre celeste la Legge Suprema.

Affermando con molta solennità che la sua venuta dà compimento alla Legge e ai Profeti, Gesù introduce una relazione diretta tra la sua missione redentrice e la Parola di Dio. Egli non vuole rovesciare le norme di vita religiosa che scaturiscono dalla Legge e dai Profeti, quanto riaffermare le esigenze fondamentali della volontà di Dio che consiste in una sovrabbondanza di giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei. L’affermazione di Gesù costituisce una nuova critica violenta del formalismo e della pratica dei farisei. Intralciando la Legge con le tradizioni degli uomini, i farisei erano giunti a misconoscere la Legge in quanto espressione della volontà di Dio. Parlando dei farisei, Matteo dice ciò che ciascuno di noi potrebbe diventare e mette in guardia contro il pericolo “formalismo” che costantemente ci minaccia.

Fu detto…ma io vi dico” (vv. 21-37)
Attraverso sei antitesi, Gesù dà compimento alla Legge antica. Nessun profeta avrebbe osato parlare così in proprio nome. I maestri di Israele usavano questa formula “antitetica” solo per precisare la loro posizione rispetto all’insegnamento di altri rabbini, mai per opporsi alla Legge: sarebbe stato un sacrilegio. Gesù, invece, in questo modo proclama la sua missione profetica.

“Non uccidere…ma io vi dico” (vv. 21-22)
L’assassino era punito con la pena di morte: essere sottoposto al giudizio significa essere condannato, così recitava Es. 20, 15 e Dt 5, 18. Il perfezionamento portato da Gesù è il seguente: l’Antico Testamento puniva l’assassino con la pena di morte. La legge nuova assimila all’assassinio il semplice fatto di andare in collera: chi si adira contro il fratello è passibile di condanna da parte di Dio, perché giudica l’uomo dal cuore. Seguono poi altre due affermazioni di Gesù che costituiscono due regole ad uso della comunità primitiva: la prima, considera la riconciliazione come condizione perché la nostra preghiera venga esaudita. E’ necessario riconciliarsi con il proprio fratello prima di andare ad offrire il proprio dono all’altare. Basta che colui che offre il dono non sia pienamente in pace con il fratello perché non possa considerarsi pienamente in pace neppure con Dio. E’ più urgente riconciliarsi col fratello che presentare la propria offerta sull’altare. La seconda, considera la riconciliazione amichevole meno onerosa della sentenza davanti a un tribunale. E’ necessario riconciliarsi subito, mettersi d’accordo per via amichevole, poiché al termine della strada ci aspetta il tribunale di Dio.

Adulterio e desiderio cattivo (vv. 27-30)
La Legge proibiva l’adulterio (Es. 20, 14), considerato principalmente come violazione di un diritto di proprietà, creando tuttavia una disparità tra l’uomo e la donna, in favore del primo. La legge nuova rigetta tutte queste distinzioni e condanna l’adulterio fin nel cuore dell’uomo, da dove trae la sua origine. Gesù afferma che l’adulterio del cuore è grave quanto l’atto esterno. Segue l’affermazione di Gesù sullo scandalo, che fa anche riferimento allo “sguardo” adultero, all’occhio come occasione di peccato. La sentenza, pronunciata nello stile paradossale, mira a colpire la memoria degli ascoltatori: simili espressioni non si scordano più. “Strappalo”(v. 29), “troncala”: Gesù si riferisce all’occhio e alla mano che possono essere motivo di peccato! Queste espressioni paradossali non vanno intese in senso letterale, altrimenti si creerebbe una comunità cristiana di orbi e di storpi! Inoltre, per peccare restano sempre l’occhio sinistro e la mano sinistra! Il senso dell’insegnamento rimane chiaro: Gesù esige una rottura radicale con ogni occasione di peccato.

Divorzio e indissolubilità del matrimonio (vv. 31-32)
Circa il divorzio, gli studiosi interpretano l’affermazione di Gesù chi in modo restrittivo, “duro”, e chi in modo largo, “misericordioso”. Secondo l’interpretazione “dura”, non è mai permesso ripudiare la propria moglie, cioè divorziare e poi risposarsi. In questo caso, l’eccezione prevista (eccetto il caso di fornicazione) può essere intesa sia come “unione illegittima”, un falso matrimonio, quando cioè si vive con una donna che non è la sposa legittima, che sarebbe doveroso ripudiare; e sia come la fornicazione della sposa legittima. Se questa se ne rende colpevole, è lecito “ripudiarla”, anche se non è consentito contrarre un nuovo matrimonio: la nuova legge riconoscerebbe solo sposi separati, ma non sposi divorziati risposati. Questa interpretazione dura è in perfetta sintonia con l’insegnamento di Gesù che viene a dare compimento alla legge, perché vuole che la giustizia dei suoi discepoli sia superiore a quella dei farisei.
Per l’interpretazione “misericordiosa”, l’eccezione (eccetto il caso di fornicazione) è reale: il divorzio è consentito in questo caso. In altri termini, Matteo non ha voluto abolire per la chiesa palestinese per cui scriveva, la disposizione misericordiosa concessa alla debolezza umana, che permetteva il divorzio in caso di fornicazione: Gesù infatti non è venuto per abolire la legge. Dunque, anche questa interpretazione è in linea con l’insegnamento di Gesù, almeno così pensano tanti autori, cattolici e non. Quale delle due interpretazioni è la più evangelica, quella “dura” o quella “misericodiosa”? Ai posteri l’ardua sentenza!

Il giuramento (vv. 33-37)
L’Antico Testamento teneva in gran conto il giuramento: era considerato un atto di pietà. La reazione di Gesù dinanzi a grossolani sotterfugi è improntata al radicalismo proprio della legge nuova: non si tratta di non pronunciare invano il nome di Dio, ma di non utilizzarlo affatto. Il giuramento è estraneo allo spirito della legge evangelica. Concludiamo dicendo che la “vera” novità della “legge nuova” non consiste solo nel radicalismo evangelico o nell’osservanza che parte dal cuore; è più giusto parlare di una “legge rinnovata” nello spirito del Vangelo. La risposta riguardo al nocciolo della “legge nuova” la troviamo nel fatto stesso di Cristo, nel suo mistero: la croce e la risurrezione di Gesù, il dono del suo Spirito. C’è una maniera assolutamente nuova, evangelica, di osservare i comandamenti: viverli da figli, nel Figlio unico, lasciarsi bruciare dall’amore di Dio diffuso nei nostri cuori dallo Spirito. Ecco la “legge nuova”.

Bibliografia consultata: Deiss, 1972.

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