La meraviglia dell’acquedotto Vergine, un viaggio di 20.000 metri
Il tour dell’Acqua Vergine può terminare con una vista mozzafiato sui tetti e le cupole di Roma dalla terrazza della Rinascente
Abbazia di Montecassino, XII secolo.
Pietro Diacono, monaco cristiano, capo bibliotecario, trascrive il “codice casinense 361” contenente il trattato di Frontino, curator acquae (ovvero sovrintendente degli acquedotti) al tempo di Nerva e Traiano, “de acquae ductu urbis Romae“.
AD 1429.
Poggio Bracciolini, umanista e cacciatore di manoscritti, scopre il manoscritto di Frontino e lo consegna ai posteri. È grazie a questo trattato che oggi conosciamo tutti i dettagli degli acquedotti che un tempo fornivano acqua a Roma.
La costruzione degli acquedotti
La costruzione degli acquedotti fu una delle imprese meglio riuscite e più significative della civiltà romana, “la più alta manifestazione della grandezza di Roma“, sosteneva Frontino e a ragione, se si pensa che nel III sec. d. C. Roma veniva servita in totale da 13 acquedotti.
In pratica, la quantità d’acqua che arrivava in un giorno a Roma era la stessa che veniva portata dal Tevere: qualcosa di assolutamente incredibile.
L’acquedotto dell’Acqua Vergine
L’unico acquedotto oggi ancora in funzione a distanza di venti secoli è l’acquedotto dell’Acqua Vergine, voluto da Agrippa, politico, architetto e stratega militare di Augusto.
Inaugurato nel 19 a.C., aveva origine di sorgenti che si trovavano nell’Agro Lucullano, all’VIII miglio della via Collatina, grosso modo dove oggi si trova la località di Salone.
Il percorso era lungo 20.471 metri ed era tutto sotterraneo (il tratto corrispondente all’odierna via Romania ai Parioli aveva una profondità di 43 mentri) a parte gli ultimi 2 chilometri che correvano su arcuazioni continue attraverso il Campo Marzio.
L’acquedotto che proveniva da est, nel tratto suburbano seguiva la via Collatina fino a Portonaccio, attraversava Pietralata, le zone di Villa Ada, i Parioli e il Pincio e arrivava in città da nord compiendo un grande arco.
Nel tratto urbano, andava lungo via del Nazareno, attraversava la zona della Fontana di Trevi, scavalcava via del Corso, piazza S.Ignazio e terminava nelle vicinanze del Pantheon, di fronte alle Terme di Agrippa.
La leggendaria purezza dell’acqua si è persa con l’urbanizzazione che si è sovrapposta all’antico canale e alle falde acquifere, così che oggi essa viene usata solo per l’irrigazione e per alimentare alcune fra le più celebri fontane di Roma come quella della Barcaccia, a Piazza di Spagna, la Fontana di Trevi e quella dei Fiumi a piazza Navona.
Sulle tracce dell’acquedotto
I resti dell’acquedotto Vergine sono visibili in vari punti della città.
Uno di questi è proprio di fronte alla Stazione Togliatti-FR2, la linea ferroviaria che collega Roma a Pescara.
Siamo su un tratto della via Collatina Vecchia dove il degrado e l’abbandono dominano incontrastati il paesaggio.
Eppure, al di là della recinzione di ferro che separa il marciapiede da un’area invasa dai rovi, ecco che si scorge un tratto dell’acquedotto che si sviluppa in superficie semisepolto dalla vegetazione.
Una stele marmorea piuttosto rovinata ricorda un intervento di riparazione da parte di Papa Benedetto XIV che nel 1753 volle creare qui un fontanile, vista la consapevolezza dell’abbondanza e della perennità dell’acqua Vergine: “Benedictus XIV PM acquae virginis copiae perennitati prodpiciens antiquun eius acquaeductum reparavit AD MDCCLIII“.
Ma il pezzo forte di questo tratto in superficie dell’acquedotto si trova nel giardino di un ristorante poco lontano, sempre sulla via Collatina Vecchia, la Locanda del Fornaio, dove si può gustare una cucina campagnola con pane e pasta fatti in casa e prodotti rigorosamente biologici.
I proprietari, gentilissimi, lasciano entrare chi è desideroso di vedere da vicino un tratto di quest’opera che ha vinto la sfida del tempo.
Un cartellone con note esplicative accoglie il visitatore che qui ha l’occasione di camminare rasentando la parte emersa dell’acquedotto, osservarne i particolari, ma soprattutto di emozionarsi.
Perché è davvero emozionante anche solo pensare alla genialità degli ingegneri romani in grado di costruire un sistema di trasporto dell’acqua così efficiente e duraturo che dalla sorgente, in campagna , alla Terme, nel cuore i Roma, aveva un dislivello di soli sei metri.
L’esperienza visiva, se fatta di buon mattino, è accompagnata da un meraviglioso profumo di pane appena sfornato misto a quello dolciastro di prelibate delizie preparate per la colazione.
Approfittatene, dopo la visita.
Il parco dell’Acqua Virgo
In via dei Monti di Pietralata, a pochi metri dall’Aniene, si può ammirare in tutta la sua magnificenza uno dei pochi tratti in superficie di Acquedotto Vergine, oggi ancora perfettamente funzionante (l’acqua arriva alla fontana di Trevi).
Il tratto in questione, che si trova nel grazioso parco dell’Acqua Virgo è lungo 320 metri ed è alto tra gli 8 e i 13 metri. Procedendo verso via Nomentana l’altezza del monumento diminuisce bruscamente perché a partire dall’incrocio con via di vigna Mangani il condotto riprende la sua corsa sotterranea.
Anche qui ci sono tracce evidenti dei restauri avvenuti in tempi “recenti”, il primo dei quali fu realizzato da Benedetto XIV nel ‘700.
Per arrivare a toccare letteralmente con mano questa imponente struttura, bisogna entrare nel parco attraverso un piccolo cancello socchiuso e imboccare il sentiero che corre parallelo alle case, tra gruppi di bambini che si rincorrono schiamazzando allegramente e adulti con cani a passeggio impegnati in animate conversazioni.
L’acquedotto è subito visibile il lontananza, non si può sbagliare.
Munitevi di scarpe da trekking con spessa suola perché dovrete superare sterpaglie e rovi prima di giungere alla meta.
Ma la fatica e il piccolo disagio saranno ampiamente ripagati dal contatto con la storia che vi propone un incontro davvero speciale con un’opera che scompare e riappare come per magia portando con sé un bene cui l’essere umano non può far meno per vivere: l’acqua.
E, incredibile, lo fa da duemila anni.
I sotterranei de La Rinascente
Nei pressi di via dei Due Macelli, l’acquedotto passava da sotterraneo a sopraelevato.
Questo vale però in epoca romana; in epoche più recenti, con l’accrescimento del piano di calpestio dovuto al processo inevitabile di urbanizzazione, ciò che un tempo emergeva in superficie è stato inevitabilmente inglobato nel sottosuolo.
Quando furono avviati i lavori di demolizione della palazzina risalente agli anni ‘50, per poi realizzare il nuovo grande magazzino, in via del Tritone , si immaginava di trovare delle strutture sotterranee, come già accaduto in altre zone, ma soprattutto perché nella vicina via del Nazzareno si possono vedere, a cielo aperto, le strutture dell’acquedotto.
Vennero quindi rinvenuti, oltre ai resti dell’ acquedotto Vergine un tracciato della Salaria Vetus con dei sepolcri monumentali del I secolo AC che vi si affacciavano, insulae e tabernae di prima e media età imperiale, una domus signorile in cui è stato rinvenuto uno “stibadium“, una sorta di divano triclinare usato per libagioni dalla ricca borghesia, un piccolo “balneum“, un impianto termale del IV d.c., decorato con mosaici e pavimenti in marmi policromi.
Scendete al piano -1.
Qui, al di là di banchi con prodotti di ogni tipo in offerta, sono visibili quindici arcate nelle quali sono ben visibili le modifiche, i restauri e un paio di fontane medioevali. La visita all’acquedotto è fruibile con una bellissima spiegazione interattiva, proiettata sulle stesse arcate dell’acquedotto.
Le cupole di Roma
Il tour dell’Acqua Vergine può terminare con una vista mozzafiato sui tetti e le cupole di Roma dalla terrazza della Rinascente.
Se siete in alto a osservare le meraviglie della città eterna sotto di voi, è anche grazie a queste mastodontiche opere del passato che corrono ancora più in profondità.
Nascoste nelle viscere della terra, hanno assicurato a Roma lunga vita e prosperità, consegnandola a noi, figli del XXI secolo, perché possiamo preservarne l’unicità e la ricchezza di tesori che non hanno eguali nel mondo.
È noi glielo dobbiamo.
Non dimentichiamolo mai.