“Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (v. 20): il vangelo di Matteo chiude la sua narrazione con la promessa del Risorto ai suoi discepoli di essere sempre con loro. Una promessa che apre sul futuro, caratterizzato dalla vita di comunione e di partecipazione alla stessa vita di Dio. Ciò implica che, se il Risorto non muore più, nemmeno coloro che gli appartengono potranno gustare la dispersione e la distruzione della morte eterna. Se lui è sempre con noi, anche noi possiamo essere sempre con lui.
La promessa divina, l’Emmanuele il Dio con noi (Is. 7, 14), posta all’inizio del Vangelo di Matteo in riferimento alla nascita di Gesù, rimane valida anche alla fine della narrazione, quando inizia la missione apostolica di andare a fare discepole tutte le genti. Dio è con noi non solo con la presenza di Gesù di Nazaret, maestro e guaritore di ogni male, ma resta con noi attraverso la missione dei suoi discepoli, i quali percorrono le strade del mondo per predicare il Vangelo.
“Andate… fate discepoli, battezzandoli… insegnando loro…” (v.v. 19-20): la spinta missionaria (andate), l’azione sacramentale (battezzando) e l’inesausta opera di formazione all’intelligenza del Vangelo (insegnando) hanno come cardine essenziale il comando di “fare discepoli” di Gesù tutte le genti, assumendo lo stile propositivo e liberante di chi offre un nuovo modo di vivere basato sul “se vuoi”, e non si rattrista se deve scuotere la polvere dai suoi sandali, perché è stato rifiutato.
Si tratta di “fare discepoli”, cioè di offrire a tutte le persone un’esperienza di vita che permetta di vivere la propria fede in Dio attraverso il rapporto con Gesù, riconosciuto Maestro e Signore. Lui solo è il maestro e non ce n’è bisogno di altri. L’orizzonte della missione è quanto mai inclusivo: “tutti i popoli”, nessuno escluso.
Ciò vuol dire che la missione cristiana non deve coltivare dentro di sé preferenze particolari per qualche cultura o nazione, ma ha il compito di annunciare lo stesso e medesimo Vangelo a tutti, perché esso risplenda in ogni situazione di vita e condizione. Nelle terre di antica tradizione cristiana è spesso insito il pregiudizio che i popoli di recente evangelizzazione non abbiano la maturità sufficiente per vivere il discepolato di Gesù.
La distinzione tra essere discepoli di Gesù e cultura cristiana è ovviamente difficile da esprimere e non vi è tempo qui per tracciare con precisione i confini. L’orizzonte inclusivo e universale nel comando di Gesù, tuttavia, non ammette che si possano creare differenze tra i discepoli della prima o dell’ultima ora. Tutti i popoli, “ogni creatura” (Mc. 16, 15), hanno la stessa e medesima possibilità di essere seguaci di Gesù di Nazaret, risorto dai morti.
“A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra” (v. 18): l’invio di Gesù a vivere la missione è introdotto da questa frase. La dichiarazione perentoria del Risorto non ammette dubbi o perplessità: egli, in quanto risorto, ha la piena capacità di influenzare le cose con la sua azione e la sua presenza, perché nulla sfugge alla sua mano provvidente e premurosa.
L’evangelista Matteo, pur non esplicitando l’idea che Gesù sia salito in cielo, come fa Luca utilizzando l’immagine dell’essere seduto alla destra del Padre, tuttavia non esita a scrivere che lo statuto del Risorto è tale da poter essere assimilato a quello di Dio Padre: egli può tutto, “in cielo e in terra”.
L’invio missionario viene collocato su un indefinito monte in Galilea (v. 16): la missione di Gesù era iniziata in quella regione, chiamata appunto “Galilea delle genti” (4, 15), dalla quale ora anche gli apostoli partono per continuare l’opera di Gesù di rendere l’umanità una famiglia che vive lo spirito di fraternità.
Non si può passare inosservata l’annotazione dell’evangelista: gli undici, davanti a Gesù risorto, si prostrano, ma anche dubitano (v. 17). Questo è un dono dell’intelligenza evangelica a tutte le generazioni cristiane: vedere il Risorto non necessariamente toglie il dubbio dal cuore, perché questo significherebbe eliminare la fatica della fede, che implica sempre un aspetto di affidamento a un mistero non afferrabile fino in fondo né, tanto meno, controllabile.
Chi parte per la missione, allora, non deve lasciarsi trattenere dai suoi dubbi e dai dibattiti interiori del cuore, piuttosto fidarsi del suo Maestro, perché lui non viene mai meno. Infatti, Gesù, conoscendo lo stato d’animo dei suoi, non fa un passo indietro, anzi si avvicina per dire loro di andare, battezzare e insegnare per fare discepole tutte le genti. Né i dubbi dei discepoli né i loro tradimenti possono fermare la missione del Risorto, il quale continua a dare fiducia e a consegnarsi nelle loro mani.
Nel contesto della solennità dell’Ascensione, questa conclusione del vangelo di Matteo ci fa toccare con mano il senso più profondo dell’appartenere alla chiesa: essere discepoli di Gesù. Lo possiamo essere, perché siamo stati raggiunti da lui tramite i suoi apostoli, siamo stati battezzati nel nome di Dio Trinità, siamo stati istruiti sul regno di Dio la cui caratteristica più importante è la beatitudine. Il motivo della missione di Gesù e dei suoi è che tutti i popoli accolgano la proposta di Dio di farci beati, perché questo è “il suo desiderio di farci felici, pegno e promessa di tutti i suoi interventi salvifici” (Lettera di Barnaba).
“Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (v. 20). E’ qui che riposa la fiducia, la serenità, la bontà che accompagnano i messaggeri del Vangelo anche nei frangenti più drammatici come quelli che stiamo vivendo, in un passaggio obbligato verso “il cambiamento di epoca”, un nuovo mondo, una Chiesa “fresca e sempre giovane”, che ancora non riusciamo a intravedere sull’orizzonte. Lo Spirito che Gesù ci dona continuamente è all’opera: chiediamo la grazia di assecondarlo e di lasciarci condurre verso nuovi lidi del mare sconfinato del Dio Amore.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Girolami, 2023; Laurita, 2023.
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