La parabola degli operai: la logica divina
La parabola degli operai, chiamati a diverse ore e remunerati con diverso criterio, ha una struttura bipolare
La parabola degli operai (Mt. 20, 1-16), chiamati a lavorare nella vigna, trascrive in forma simbolica lo stile dell’agire di Dio. La salvezza è una ricompensa per l’agire dell’uomo o un dono della bontà e benignità di Dio?
Il senso delle parabole
Le parabole di Gesù non rispondono a problemi astratti e neppure illustrano dei principi teorici. Le parabole evangeliche, che riprendono frammenti della vita reale per rileggervi in trasparenza lo stile dell’agire di Dio, sono maturate nel dibattito tra Gesù e i suoi contemporanei. Di fronte alle scelte di Gesù che accoglie i peccatori e mangia con loro, che dà fiducia ai derelitti, sorgono le obiezioni e le resistenze dei benpensanti in particolare, degli esperti religiosi e dei devoti. Perché fai così? Dove sta la giustizia di Dio?
I gesti di Gesù e le sue parole rivelano una diversa prospettiva che contraddice a quella degli osservanti della legge. Per stabilire un contatto e comunicare con i loro contraddittori Gesù racconta una storia, dove sono simbolicamente trasposti i protagonisti del dibattito storico.
La libertà dell’amore
La parabola degli operai, chiamati a diverse ore e remunerati con diverso criterio, ha una struttura bipolare. Nella prima parte, il padrone della vigna esce per assumere operai all’alba e continua quasi ogni tre ore fino a un’ora prima della conclusione della giornata lavorativa. Il padrone “si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna” (v. 2). Solo con quelli chiamati all’ultima ora non si fa menzione esplicita della paga.
La seconda parte ruota attorno alla paga e alle reazioni che questa suscita. La cosa strana è il rovesciamento dell’ordine di pagamento: quelli che sono stati chiamati per primi sono gli ultimi a essere pagati. Così essi hanno modo di assistere al pagamento degli “ultimi”, quelli che hanno lavorato un’ora sola, i quali ricevono la paga di un’intera giornata. Da qui nasce la loro attesa, poi la delusione e infine la protesta.
Dal loro punto di vista non è giusto che chi ha sopportato la fatica e il caldo della giornata sia equiparato a chi ha lavorato un’ora sola e nel momento più favorevole. La parola finale del padrone che interviene nella discussione offre la chiave di lettura dell’intera vicenda: “Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?” (v. 15).
I due punti di vista sono ben sintetizzati da questa domanda. Da una parte c’è il criterio della giustizia contrattuale: a ognuno il suo, secondo le sue prestazioni; dall’altra c’è un nuovo criterio, quello della bontà e magnanimità che dona anche là dove non ci sono diritti. Il padrone della vigna rivendica da parte sua la libertà di dare gratuitamente oltre i diritti della stretta giustizia. E’ la libertà dell’amore che smaschera la pseudo-giustizia di chi fa coincidere il bene con il suo interesse.
Indicazioni per la comunità
“Così gli ultimi saranno primi e i primi ultimi” (v. 16). Questa sentenza rappresenta l’applicazione ecclesiale: i pubblicani, le prostitute e i pagani, che sono gli ultimi chiamati rispetto agli ebrei, sono i primi nell’esperienza salvifica rispetto a quelli che hanno rifiutato l’annuncio evangelico; essi “passano avanti nel regno dei cieli”.
Anche all’interno della comunità i piccoli, i cristiani in crisi, nella prospettiva o logica dell’amore gratuito di Dio, sono oggetto di sollecitudine e cura pastorale. Ogni ascoltatore del vangelo e comunità sono interpellati per entrare nella nuova prospettiva, rivelata e attuata dalle parole e gesti di Gesù.
Le conseguenze sul piano pastorale e spirituale sono di grande rilevanza, molto più efficaci di quelle letture allegoriche che hanno contrassegnato la storia dell’esegesi di questa parabola evangelica. L’idea che Dio chiama nelle successive età della storia del mondo o nelle diverse fasi della vita individuale può essere l’applicazione del principio dell’iniziativa gratuita di Dio, purché non si riduca all’esortazione banale del “non è mai troppo tardi”.
Più feconda è una lettura della parabola che metta in evidenza il rapporto tra la “giustizia” paradossale di Dio e la “giustizia” umana, dove spesso si deve far ricorso al principio della retribuzione e del rispetto dei contratti per evitare false forme di ingiustizia o garantire il rispetto dei diritti, e dove spesso il sommo diritto (summum ius) coincide con la somma ingiustizia (summa iniuria)!
A questo punto la domanda è inevitabile: noi, che ci consideriamo “primi”, come reagiamo di fronte alla bontà, alla misericordia che Dio riserva agli “ultimi”? Ce ne rallegriamo oppure ci ribelliamo? Il regno di Dio funziona secondo la logica dell’amore. Chi l’ha preso per un’azienda non ha capito nulla. E’ un po’ come il figlio maggiore nella parabola del figliol prodigo (o del “padre misericordioso”). Ha obbedito sempre, ha lavorato, è rimasto in casa… ma non capisce suo padre e non è disposto a partecipare alla festa per il ritorno del fratello, “perduto e ritrovato”.
La parabola che racconta Gesù smentisce ogni previsione, ogni nostro calcolo. E lo fa platealmente, obbligandoci a prendere posizione. Si svela così l’invidia che affiora di fronte alla sua smisurata bontà.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: SdP, 2023; Laurita, 2023.