La parabola del banchetto nuziale
Il regno di Dio non è uno scivolo attraverso il quale uno cade dentro il mondo nuovo senza volerlo
La parabola del “banchetto nuziale” (Mt. 22, 1-14) fa parte della trilogia di parabole indirizzate da Gesù ai “capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo” nell’area del tempio di Gerusalemme. I capi giudei capiscono di essere messi sotto accusa e vorrebbero catturare Gesù. Essi, però, hanno paura della folla che lo considera un profeta. A questi stessi interlocutori prevenuti nei suoi confronti Gesù racconta la parabola del banchetto nuziale.
La parabola del banchetto
La prima parte descrive gli inutili tentativi fatti da un re per avere gli invitati di riguardo al banchetto imbandito per le nozze del figlio. Il punto critico di questo primo quadro si ha nel rifiuto dei primi invitati, a cui segue la reazione indignata del re. Questo aspetto viene sottolineato attraverso il duplice invio dei servi che richiama la parabola dei vignaioli omicidi: “Presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero” (v. 6).
Di fronte a questo rifiuto e affronto intollerabile si capisce la reazione del re, che decide una punizione esemplare: “Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città” (v. 7). Sullo sfondo di queste immagini previste dal Signore, viene evocata la storia di rappresaglia politico-militare della catastrofe del 70 d.C., in cui la città di Gerusalemme fu distrutta dalle legioni romane e i suoi abitanti uccisi o venduti come schiavi.
La seconda parte della parabola è incentrata sulla nuova iniziativa del re per riempire la sala del banchetto con gli invitati che prendono il posto dei primi, i quali si sono dimostrati “indegni” (v. 8). Destinatari di questo nuovo invito sono tutti quelli che si trovano ai crocicchi delle strade, “cattivi e buoni” (v. 10). Lo scopo e l’interesse della chiesa di Gesù nella sua missione, dopo il rifiuto dell’Israele storico, è quello di “riempire” (v. 10) la sala senza discriminazioni.
La salvezza non è un diritto
Al racconto parabolico l’evangelista Matteo fa seguire un quadro finale in forma di appendice, dove si avverte la sua preoccupazione parenetica (esortativa) ed ecclesiale. Il re entra per ispezionare la sala del convito nuziale e trova un invitato senza l’abito di nozze. La sua reazione provoca una sentenza inappellabile con l’esclusione del commensale (v. 12). Le immagini dell’estromissione, “fuori, nelle tenebre, il pianto e stridore di denti” (v. 13), esprimono la condanna finale.
Il messaggio che l’evangelista Matteo intende trasmettere ai suoi cristiani provenienti dal giudaismo, invitati a meditare sull’azione salvifica di Dio, è abbastanza trasparente. Quelli che sono invitati e fanno già parte della comunità della chiesa di Cristo non possono vantare diritti al punto da dispensarsi da un impegno coerente e perseverante. La falsa sicurezza espone a un giudizio di rovina finale. Tale giudizio sarà fatto sulle condizioni richieste per essere un commensale degno.
Chi sono i salvati?
Nel vangelo di Matteo questa condizione, espressa dal simbolo della veste nuziale, è la coerente attuazione della volontà del Padre, condensata nell’amore del prossimo. Ci troviamo, quindi, in una prospettiva di esortazione alla sua comunità ecclesiale. L’ultima sentenza, “Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti” (v. 14), non è né un’informazione sul numero dei salvati, né una pessimistica constatazione sul quasi fallimento del progetto salvifico di Dio. E’ un invito a passare dalla situazione di “chiamati” a quella di “eletti”.
Far parte degli eletti non è un problema di selezione preventiva e neppure una scommessa. E’ la possibilità o opportunità data a tutti quelli che sono “chiamati”. In altri termini la chiamata di Dio come tutti i suoi doni sono impegnativi e responsabilizzanti. Quelli che restano fedeli alla sua iniziativa di salvezza con una prassi coerente e perseverante di amore faranno parte dei salvati.
Sono pochi? Sono molti? Da parte della iniziativa gratuita di Dio sono “tutti”. Sta alla libertà responsabile degli esseri umani riconoscerla e accoglierla non solo a parole o teoricamente, ma nelle scelte fondamentali della vita. Dunque la parabola del banchetto nuziale è una sintesi del disegno salvifico di Dio che ha già tutto predisposto per la grande festa inaugurata da Gesù, il figlio regale. Tutti vi sono invitati. Il rischio di esserne esclusi non dipende dall’invito, ma dalla risposta. Non solo da quella del rifiuto aperto o ribelle, ma anche da quella dell’incoerenza pratica dei singoli credenti.
La veste nuziale
Dio fa grazia: questo messaggio è al cuore del Vangelo di Gesù. La sua misericordia e la sua bontà sono infinite. Tuttavia Dio attende una risposta, da parte di ognuno di noi. Il regno di Dio non è uno scivolo attraverso il quale uno cade dentro il mondo nuovo senza volerlo. Non c’è relazione autentica se un’offerta non viene riconosciuta e apprezzata, se non c’è la disponibilità a lasciarsi trasformare dalla proposta che ci raggiunge. La veste nuziale uno non se la doveva portare da casa: gli veniva offerta per essere adeguato al banchetto che veniva imbandito.
Rifiutarsi di indossarla, dunque, dimostrava spregio nei confronti di chi aveva preparato il banchetto, con la pretesa di sedersi a tavola senza volere cambiare, senza disponibilità a convertirsi. Bisogna prendere sul serio il dono ricevuto e scegliere di partecipare alla festa. Non basta entrare nella sala: bisogna essere disposti a convertirsi, a cambiare. Senza questo si rimane tagliati fuori da una salvezza che non è automatica ma impegna il cuore, la mente, la volontà.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: SdP, 2023; Laurita, 2023.