La parabola del buon grano e della zizzania è forse uno dei racconti più sorprendenti di Gesù. A questa seguono altre due parabole: il granellino di senapa che diventa un albero e il lievito che fermenta la farina. Un padrone ha seminato nel suo campo un buon seme, ma poi di notte un nemico entra e vi sparge zizzania. I due semi sono abbastanza simili. Tutti abbiamo “nemici” che vorrebbero il nostro campo meno fecondo e meno produttivo. Sembra il racconto di una vicenda contemporanea, nella quale assistiamo a vicini di casa che litigano, che si fanno dispetti, che non si salutano più.
Il campo di cui racconta Gesù è lo stesso. Sono i protagonisti che si avvicendano, uno presumibilmente di giorno e l’altro di notte. Il primo è autorizzato, essendo il padrone del campo, il secondo vi si introduce furtivamente di nascosto. Il primo fa tutto alla luce del sole, il secondo non vuole farsi vedere, agisce nel buio, quasi in modo losco e segreto. Il primo è “amico” della sua terra e vi sparge della buona semente, il secondo è un “nemico” e non ha a cuore né il campo, né il raccolto conseguente. I semi sono simili e il modo di spargerli pure. E’ il loro frutto a essere sensibilmente differente. I servi vanno a riferire al padrone l’accaduto e sconcerta la sua tranquillità-
Egli sembra non scomporsi affatto. E’ un padrone che sa chiamare col proprio nome persone e avvenimenti. Chi si mette contro quel campo appare come “nemico”. Tuttavia il padrone è tranquillo, sono i servi ad agitarsi. Attenzione: il padrone non chiama “bene” il “male” e neppure “grano” la “zizzania”; il male è nel suo campo, inevitabilmente. Stando alla parabola il padrone non ha fatto nulla e non vuole si faccia nulla per strapparlo (v. 29). Ciò che sta a cuore al padrone è che il grano cresca. Questo è ciò che i servi si sentono dire. La vocazione di quel campo è che faccia frutto e la forza di quel grano è che cresca, nonostante la zizzania.
“Vuoi che andiamo a raccogliere la zizzania?” (v. 28). C’è sempre chi ama soluzioni precipitose. Gesù impedisce che, strappando il male, i servi facciano danni al bene. Sradicando la zizzania è possibile calpestare anche il grano. Noi credenti siamo questo campo nel quale Dio ha seminato la buona semente e dove, di notte, permettiamo che altri nemici della nostra vita entrino a seminare zizzania. La pazienza alla quale il padrone invita i servi spinge a un profondo e mai concluso discernimento. Soprattutto a non abituarci al male, a riflettere attentamente, scacciando l’idea mediocre che non è poi così grave avere anche un po’ di erbacce nel giardino.
Non deve essere la zizzania a intimorirci. Teniamo d’occhio, per tutta la vita, che rimanga la buona semente sparsa dal Signore. Quella servirà a riempire i granai. Crediamo che il mondo, la società, i giovani non sono tutta “zizzania” e la vita di ciascuno è bella e preziosa proprio perché il campo rimane di Dio. Su quella terra il padrone ha già seminato il buon seme. E alla fine mieterà ciò che lui ha fatto. Quello che i nemici hanno gettato scomparirà. Rimarrà solo l’amore. Quello di Dio che è già eterno.
Gesù spiega la parabola dicendo che il Figlio dell’uomo è il seminatore del buon grano. Il diavolo è il nemico. Sono contento che Gesù consideri la vita, il mondo, la Chiesa come il campo che, se vuole, produrrà. Gesù semina un seme fecondo nella sua terra. E lo fa di giorno, alla luce del sole, nella sua proprietà. Successivamente, di notte, all’oscuro da tutti, il diavolo, il nemico per eccellenza del campo, dell’uomo, del seme e del bene, viene e semina zizzania. Gesù lo conosce bene, ma non si scandalizza del male. Non ne è entusiasta, ma sa della sua esistenza. E chiede di non spaventarsi. Rimanda al momento in cui il Figlio dell’uomo riprenderà il suo campo e getterà ciò che non gli appartiene. Chi sa ascoltare sa che la parola di Gesù è parola che schiude il cuore e incoraggia a essere fecondi.
La zizzania sarà bruciata e il grano riposto nel granaio. C’è una conclusione della parabola che va letta insieme al resto: la parola del Maestro vale certamente più di tutto il resto. E sarà quel seme accolto, divenuto grano e spighe mature. Il resto sarà spazzato via. Non è sufficiente allontanare il male o guardarsi da esso. E’ utile sapere che il mistero del male vive tra noi, ma non dobbiamo scommettere la vita sulle sue lusinghe o accogliere le sue proposte. Diversamente tutto finirà bruciato. Camminiamo verso quel momento in cui il Figlio dell’uomo, in tutto il suo splendore e potenza, dirà che ciò che lui ha fatto, nella nostra vita, è solamente “buono”. E’ seme che, da piccolo, diventa albero, è lievito che fermenta tutta la pasta.
Nel campo della vita quotidiana, della società civile e della chiesa crescono sia il bene che il male: impariamo a discernere, a riconoscere, a levare la voce per denunciare, ma, nello stesso tempo, impariamo a dilazionare, a concedere opportunità, a coltivare la bontà che cresce. E’ la pazienza di Dio, espressione non tanto di una resa, quanto di una forza non-violenta di trasformazione del mondo. L’agire di Dio è il lungo respiro dell’opportunità concessa, l’investimento sul positivo, la passione per la vita. Gesù ci invita a non produrre facilmente sentenze rapide e inappellabili, a non tranciare con eccessiva fretta. Egli conosce la nostra esistenza e sa che anche la peggiore zizzania potrebbe cambiare e donare un frutto buono, perché egli continua a offrirci la sua misericordia nell’attesa che il nostro cuore si converta a lui.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: D’Agostino, 2020; Orizio, 2020; Laurita, 2020.
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