Nella parabola del buon pastore, il Vangelo (Gv. 10, 1-10) offre la rivelazione di Gesù come il pastore che ama le sue pecore, le custodisce e dona loro la vita in abbondanza. Immagine opposta rispetto ai ladri e ai briganti, cioè quegli stranieri che le pecore non conoscono e non seguono, perché rubano, sacrificano e distruggono il pascolo.
Gesù racconta la parabola del pastore e precisa subito che nel recinto si entra attraverso la porta e non bisogna salire da un’altra parte scavalcando il muro. Un simile agire si addice proprio ai ladri e ai briganti, come lo stesso Gesù afferma (v. 1). Infatti dalla porta entra il pastore delle pecore, colui che non ha alcuna necessità di dover inventare vie diverse per giungere alla sua meta, per arrivare nel luogo nel quale ci sarà qualcuno ad accoglierlo. Ad accogliere il pastore ci sarà il portiere, il quale gli apre sempre la porta, avendo una grande certezza. Le pecore ascoltano la sua voce, perché lui chiama ognuna di esse con il proprio nome e le conduce fuori (vv. 2-3).
Gesù descrive il rapporto tra il pastore e le sue pecore come una relazione intima, anzi filiale, che offre alle pecore la tranquillità della protezione. Ma soprattutto della considerazione, dimensione che oggi sembra mancare. Come essere degni di fiducia, se non si conoscono i nomi delle persone con le quali abbiamo a che fare tutti i giorni? Come posso “tenerci” a loro, se non so nemmeno il nome? Quale considerazione potremmo pretendere di avere a queste condizioni? Le pecore ascoltano la voce del pastore, perché egli le conosce una per una, perché le considera tutte allo stesso modo. Si tratta di un gregge che vuole sentirsi amato e condotto, tutto quello che oggi manca. Senza “il pastore” si ascoltano tutte le voci possibili. Non preoccupandosi tuttavia del fatto che chi parla non conosce e non ha interesse di conoscere chi ascolta. E il dramma è che questo è ormai reputato normale. “Il mondo funziona così e ci si deve adeguare”, è la solita tragica risposta, che va contro le parole di Paolo e dello stesso Gesù.
La verità è un’altra: quando c’è “il pastore”, allora questi può spingerle fuori e procedere davanti a loro, certo che esse lo seguono. Perché le pecore hanno esperienza di chi sia il pastore, anzi della sua voce. Una voce che continua a chiamarle, che non le lascia mai sole, che le fa sentire importanti. La metafora (l’immagine simbolica) rispecchia la realtà: ogni pastore ha un rapporto familiare con il suo gregge. Il gregge diventa la sua famiglia e i pastori conoscono tutte le loro pecore. Sapersi amati e custoditi rende la propria esistenza pacifica e fiduciosa.
Lo straniero non va seguito, anzi è necessario fuggire lontano da lui, perché la sua voce non è conosciuta. La parabola inizia con la figura del ladro e del brigante che cerca di entrare nell’ovile da un’altra parte. Scavalca il muro, e si conclude con lo straniero che non va mai seguito, anzi dal quale bisogna fuggire.
Al centro c’è invece la figura di colui che va seguito e ascoltato. Gesù sottolinea come il rischio di fare la scelta sbagliata sia davvero concreto. Egli insiste proprio sull’aspetto negativo dell’entrata furtiva e dello straniero mercenario.
“Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro” (v. 6). Davanti a questa difficoltà di comprendere, il Maestro chiarisce la parabola. E’ lui la porta delle pecore: solo attraverso di lui sarà possibile godere di tutto ciò che ha appena raccontato in merito al pastore e le sue pecore. Chiunque si fosse presentato prima del suo arrivo come Gesù, è un ladro e un brigante. Di nuovo Gesù afferma di essere la porta, confermando che soltanto attraverso di lui è possibile essere salvati, rincuorando anche gli astanti dicendo pure che attraverso di lui si potrà entrare e uscire, trovando sempre il pascolo: è per mezzo di lui che sarà possibile tutto ciò che riguarda il buon rapporto tra il pastore e le sue pecore, cioè l’essere conosciuto per nome e seguire il pastore, la cui voce resta familiare, calorosa e custodente.
“Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (v. 10). Il ladro non ha alcun interesse di mantenere una relazione con coloro che diverranno le sue prede. Ladri e briganti odiano instaurare un rapporto con il Creatore, con colui che custodisce e cura le sue pecore, le sue creature. Gesù è venuto nel mondo perché esse abbiano la vita in abbondanza: le pecore non devono più sopravvivere, ma devono vivere, la loro esistenza deve avere come obiettivo la vita eterna, la quale inizia già a partire da questo mondo.
E per raggiungere tale scopo l’unico modo è passare attraverso Gesù, ascoltare le sue parole, che sono appunto di vita eterna. Soltanto costruendo una relazione sana con il Signore, sarà possibile vivere una relazione sana e corretta con tutti gli esseri viventi che circondano le nostre vite. Non è un’affermazione semplice e scontata, perché si tratta di un atteggiamento che va messo in pratica: eseguire qualsiasi cosa della nostra vita passando attraverso di lui. Si passa attraverso Gesù per raggiungere Gesù, infatti si passa attraverso la porta per raggiungere il pastore. E’ lui il vero pastore, l’unico che può condurci alla pienezza della vita, a una gioia che non ha fine.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Bonelli, 2020.
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