La parabola della vedova importuna: pregare sempre
Il “dono della fede” domanda di essere condiviso. Ma è possibile se la preghiera non lo mantiene vivo?
La preghiera è un aspetto su cui l’evangelista Luca insiste molto. Infatti, la preghiera rappresenta un elemento fondamentale della vita comunitaria, insieme all’ascolto dell’insegnamento apostolico, della comunione fraterna e della frazione del pane (l’eucaristia). La parabola della vedova importuna (Lc. 18, 1-8) ha lo scopo di persuadere i discepoli sulla necessità della preghiera costante, la quale necessita di una fede tenace e importuna.
Senza cedere alla stanchezza
E’ la prima volta in cui è segnalato in anticipo lo scopo della parabola (v. 1). L’evangelista collega l’istruzione di Gesù sulla preghiera incessante al discorso tenuto poco prima sul ritorno del Figlio dell’uomo alla fine della storia. E’ necessario pregare sempre, assumendo un vero e proprio stile di preghiera, per evitare di cedere alla stanchezza o allo sconforto e perseverare nell’attesa del ritorno del Cristo glorioso.
E’ possibile che la comunità cristiana alla quale Luca si rivolge sia stata costretta a fare i conti con le prove e le persecuzioni, con il rifiuto del Vangelo e difficoltà di ogni genere all’interno della sua comunità. Per questo motivo, l’insistenza sulla preghiera intende offrire ai suoi lettori un valido sostegno per non cedere alla stanchezza per il protrarsi dell’attesa.
Una donna insopportabile
Il racconto parabolico è ambientato in una città dove vivono un giudice e una vedova. Il primo è descritto come un uomo che non prova alcun timore nei riguardi di Dio e non ha alcun rispetto del prossimo (v. 2). Temere Dio è la condizione necessaria per relazionarsi con gli altri, ispirandosi ai valori della giustizia e della verità, e così assolvere al proprio compito. Chi non teme Dio, non ha la giusta considerazione dell’altro.
Il secondo personaggio della vicenda è una donna: si tratta di una vedova che si reca con una certa insistenza presso il giudice, chiedendo di ottenere giustizia dal suo avversario (v. 3). L’evangelista non si sofferma sui dettagli della vertenza giudiziaria, ma si comprende che deve essere di vitale importanza per la donna che, essendo vedova, non può contare su altri sostegni.
Non è chiaro perché per lungo tempo il giudice si astenga dal suo dovere (v. 4); tuttavia, la pervicacia della donna è divenuta insostenibile, e inizia a procurargli fastidio. Decide, allora, di farle giustizia; la sua decisione non dipende da una improvvisa conversione, né perché sia pentito della sua precedente insensibilità; vuole solo scongiurare il pericolo che la vedova prosegua a tormentarlo con le sue richieste. La sua indifferenza è vinta dall’insistenza della donna.
E Dio non farà giustizia?
La vicenda della parabola termina con la giustizia ottenuta dalla vedova, e offre l’opportunità per riflettere sulla giustizia divina. Gesù richiama all’attenzione dei presenti le parole pronunciate dal giudice iniquo. Ora, se un uomo così perverso ha assecondato la richiesta di giustizia della vedova, è possibile immaginare che Dio non farà giustizia ai suoi eletti?
Gli eletti sono tutti coloro che riconoscono Dio come Padre e si rivolgono a lui, elevando suppliche e forti invocazioni e confidando nella sua bontà misericordiosa. E’ una preghiera ininterrotta, che dura di notte e di giorno; non si tratta solo di pronunciare parole, ma di assumere uno stile orante, che permea il credente nella sua essenza, al punto tale da divenire egli stesso preghiera.
In tal caso, il Signore non indugerà, a differenza del giudice disonesto, e concederà la giustizia attesa dai suoi figli. Dio non tarderà, ma farà giustizia in breve tempo: è palese la contrapposizione tra il lungo tempo che il giudice fa intercorrere prima di esaminare la causa della vedova, e l’esiguo lasso di tempo che precede l’intervento divino (vv. 7-8).
“Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (v. 8). La domanda finale di Gesù si ricollega al motivo del ritorno (parusia) finale. La fede e la preghiera si alimentano reciprocamente, perché se l’orazione non è fatta con fede rischia di essere vuota, insensata; così la fede, se non è costantemente alimentata dalla preghiera, può divenire magica superstizione e idolatria. Pur essendo una questione destinata a rimanere aperta, il monito che si può ricavare dalla domanda finale di Gesù è chiaro: l’attesa del giorno finale deve essere sostenuto dalla preghiera insistente e costante, che consolidi la fede in Dio.
Perché pregare? Perché è un bisogno urgente della nostra fede! La fede si trova spesso in situazioni di prova. E quindi rischia di venir meno. Rischia di perdere forza, vivacità, tensione, energia, originalità. La preghiera che nasce dalla fede, la rafforza, la sostiene, le permette di affrontare ogni difficoltà. Un rapporto personale non si regge senza dialogo, senza segni di affetto, di amicizia, di tenerezza: nel nostro rapporto con Dio la preghiera assicura tutto questo.
La preghiera ci mette “in tensione”, fa di noi delle sentinelle che scrutano l’orizzonte per vedere i segni di ciò che sta per accadere, per essere figli di quel “nuovo” che ci è stato annunciato. La preghiera ci aiuta a vincere la “stanchezza”. La nostra stanchezza insinua, infatti, un dubbio atroce: giungerà a compimento quello in cui speriamo? Ecco perché bisogna pregare “sempre”, “senza stancarsi”, perché questa tentazione è continuamente in agguato. Il “dono della fede” domanda di essere condiviso. Ma è possibile se la preghiera non lo mantiene vivo?
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Landi, 2022; Laurita, 2022.