Religione

La Parola che ci chiama all’annuncio: invio in missione dei Dodici

Oggi il vangelo (Mc. 6, 7-13) contiene due istruzioni per la missione: ciò che si deve portare con sé e il comportamento da tenere in caso di accoglienza o di rifiuto. Nell’invio dei Dodici è prefigurata e regolata la missione di ogni tempo della chiesa. Con tre brevi frasi l’evangelista Marco descrive: chiamata, invio e attribuzione dei poteri di cacciare i demoni. “Chiamare” è il verbo che richiama e conferma la vocazione dei Dodici, i quali formano il gruppo collegiale e ristretto fra i discepoli. L’invio in missione in coppia, “a due a due” (v. 7), è un uso dei primi cristiani che rispetta il diritto giudaico-rabbinico di testimonianza. Il potere sugli “spiriti immondi” (v. 7) è una prerogativa di Gesù stesso, che egli conferisce ai Dodici. Gesù li manda a due a due: non li manda soli, né individualmente e né in gruppo, ma due a due.

Il valore avverbiale di due alla volta fa comprendere che deve esserci una motivazione pedagogica in tale scelta, non solo di fedeltà alla prassi giuridica o del diritto rabbinico. Tale scelta, infatti, non sembra conveniente, né più efficace. Perché due allora? Due è il numero della relazione, dalle origini della creazione alla meta della redenzione. La dualità significa differenza e alterità, ma anche bisogno, reciprocità e condivisione. Due è il numero che supera l’egoismo e l’autoreferenzialità senza però perdersi nella massa impersonale o nelle dinamiche di gruppo. Ci si guarda negli occhi in due, non in tre o in dodici, né da soli.

Questa è la prima essenziale dimensione dell’invio, che Marco afferma essere un criterio di fondo della ministerialità della chiesa voluta dal Maestro. Chi invita l’altro a vivere una relazione di fede deve avere già esperienza dell’essere in relazione con l’altro, con tutto ciò che l’altro significa. Ciò è di aiuto per coloro che sono inviati “a due a due” a evitare i rischi di restare impigliati nelle reti di ogni tipo di potere, o di lasciarsi attrarre da cose che portano lontano da colui che manda e da coloro a cui si è mandati.

Istruzioni per il viaggio e la missione

La prima istruzione riguarda l’ordine di non prendere niente per il viaggio. Il verbo “ordinò” (v. 8) significa: annunziare, comandare, prescrivere. Sono raccomandazioni che pongono il fondamento per ogni collaborazione dell’uomo con Dio. Uniche provviste ammesse sono: bastone, sandali e una sola tunica, perché necessari al cammino. Tutto il resto i discepoli dovranno sperimentarlo e trovarlo nella generosità dell’altro che incontreranno, fiduciosi della sua accoglienza e consapevoli della possibilità di essere respinti.

La missione protocristiana è itinerante, “sulla via” (v. 8). La radicalità di questa richiesta da parte di Gesù supera anche quella degli Esseni (gruppo ebraico del secondo secolo), che in viaggio potevano portare armi e sandali. L’inconsueto aspetto dei missionari di Gesù ha la funzione di un segno: serve a dimostrare il loro programma pacifico. Nello stesso tempo, tali indicazioni sottolineano il carattere urgente e provvisorio della missione.

La seconda istruzione è così formulata: “Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accoglieranno e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro” (vv. 10-11). L’annuncio del vangelo non deve essere imposto con la forza, ma va proposto, ricordando l’indicazione di allontanarsi in mancanza di ascolto. L’atto di scuotere la polvere attaccata ai piedi è un gesto simbolico concreto, che richiama le persone alla conversione, a riflettere sul loro atteggiamento, esortandoli al pentimento.

L’evangelista Marco sottolinea che la missione è destinata anzitutto alla predicazione della conversione: “partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano” (vv. 12-13). La predicazione rimane il compito essenziale dei Dodici, quale primo contenuto dell’annuncio. Tali parole riprendono e interpretano l’invito iniziale di Gesù alla conversione (1, 14-15), che diventerà la missione della chiesa alla Pentecoste.

La povertà come segno della missione

Non possiamo tralasciare un accenno alla povertà dell’apostolo che viene inviato a proclamare il Vangelo con lo stretto necessario. Perché la missione possa essere trasparente del messaggio che viene da Dio, è decisivo il fatto che sia vissuta nella povertà. Solo così vi è immediata evidenza del messaggio divino e nello stesso tempo piena libertà nell’adesione. L’apostolo chiamato da Gesù per la missione deve capire bene ciò che conta veramente: non sono i mezzi di cui fornirsi, e neppure le sue doti personali, le sue risorse, il suo coraggio e la sua grinta; tutto, prima o poi, ha una fine. Inesauribile, invece, è la forza che viene dal Signore: inesauribile la potenza del Vangelo, la grazia che ci accompagna, il dono di consolazione, di perdono da trasmettere.

Inesauribile, ma operante solo se si ha fede, solo se ci si getta anima e corpo nell’impresa credendo che il successo è assicurato, nonostante i provvisori fallimenti, e che non saremo mai abbandonati. Davanti al rischio non ci sono scorciatoie: o lo si accetta o lo si rifiuta, o lo si affronta o ci si tira indietro. Il bello di questo rischio evangelico è un ottimismo e una speranza a tutta prova. In fondo chi si lancia nel progetto di Gesù sa che nessuno è padrone della sua vita, e quindi nessuno gliela può veramente rovinare, dal momento che è nelle mani di Dio.

A duemila anni di distanza, o Signore, la missione è sempre la stessa. E’ il Vangelo la sua punta di diamante: un annuncio che esige una risposta coraggiosa perché cambia completamente la vita. E i santi segni possono manifestare che ancor oggi lo Spirito è all’opera, che in ogni situazione egli agisce, trasfigura, trasforma.                                                                                                   

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: Mazzeo, 2021; Brunello, 2021; Laurita, 2021.

Redazione

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