La potenza della fede
“Accresci in noi la fede”
Il brano del Vangelo (Lc. 17, 5-10) che ascolteremo nella 27^ domenica del Tempo ordinario nasce come risposta del Signore agli apostoli che gli domandano di aumentare la loro fede. Questa risposta comporta da una parte una sentenza figurata (“Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: Sradicati e vai a piantarti nel mare, ed esso vi obbedirebbe” v. 6), dall’altra una parabola tipica ed esclusiva di Luca (vv. 7-10). Notiamo, anzitutto, il fatto che ora l’evangelista Luca si rivolge agli apostoli e ciò significa che si tratta di un argomento fondamentale, perché conosciamo l’importanza che egli attribuisce agli apostoli.
La domanda degli apostoli: “Accresci in noi la fede” (v. 5)
Gli apostoli sono coloro che hanno creduto alla Pasqua, e la loro missione consiste nel chiamare giudei e pagani alla fede “fino ai confini del mondo” (Lc. 24, 47). Gli apostoli si rivolgono al “Signore”: rispetto a Matteo e Marco, Luca è l’unico a dare abitualmente questo titolo a Gesù nel corso della sua vita terrena. Se gli attribuisce questo titolo di gloria, è perché per l’evangelista Luca la fede si rivolge per eccellenza al Signore divino risorto il mattino di Pasqua. L’originalità della domanda a Gesù che aumenti la loro fede risalta ancor più perché non si trova negli altri Vangeli di Matteo e di Marco. Gli apostoli si sentono inadeguati al loro compito, perché di poca fede.
Ma di quale fede si parla? Per l’autore del Vangelo e degli Atti non c’è che una sola fede, che consiste nell’accogliere la parola del Vangelo e nell’impegnarsi nei confronti di Gesù. Nella catechesi cristiana, che Luca vuole presentare nel quadro del viaggio di Gesù a Gerusalemme, la domanda degli apostoli introduce una lezione fondamentale: anche per i “Dodici” e dunque ancor più per i discepoli, la fede è un dono del Signore Gesù che tutti devono domandargli. La fede è l’esperienza personale della misericordia del Padre, origine della missione ai fratelli. Non è questione di quantità, ma di qualità. Va chiesta come il pane quotidiano e il perdono. Con essa si ottiene tutto: tutto infatti è possibile per chi crede, perché nulla è impossibile a Dio.
La risposta di Gesù: “Se aveste fede…” (v. 5)
Gesù, senza rispondere esattamente alla loro domanda, proclama la potenza della fede: per piccola che essa sia, il credente può con una sola parola sradicare un sicomoro e trapiantarlo nel mare. L’immagine ci sembra curiosa; ma essa meraviglia meno un palestinese, abituato alle sentenze paradossali (realmente impossibili), e per il quale il grano di senape è il più piccolo di tutti i semi e il sicomoro il tipo di albero non sradicabile. La fede è come un seme piccolo, ma con una forza vitale. Per essa tutto posso in colui che mi dà forza, perché la mia impotenza si riempie della potenza stessa di Dio. Credere è smettere di confidare in sé e lasciare che sia lui ad agire. Per questo quando sono debole, è allora che sono forte.
Il maestro non intende dare agli apostoli una ricetta per fare dei miracoli: Egli non ha mai trapiantato un sicomoro nel mare; ha fatto miracoli solo per salvare, mai per presentare qualche meraviglia inutile e assurda. Gesù sta dicendo che niente è impossibile alla fede. E quando Luca dice questa frase rivolta agli apostoli, pensa sicuramente all’efficacia della loro fede nel portare il Vangelo fino ai confini estremi della terra.
La parabola: lo schiavo non ha alcun diritto (vv. 7-10)
Gli apostoli possono attribuirsi il merito di questa efficacia della loro fede? No, perché essi è da Gesù che attendono l’aumento della fede, e la parabola prolunga la lezione del primato della grazia. Al centro di essa c’è uno schiavo: per il mondo greco-romano egli è proprietà del suo padrone, di fronte al quale non ha alcun diritto. Quando ha fatto tutto il suo lavoro non ha niente da aspettarsi, né salario né riconoscenza. La sua applicazione è rivolta agli apostoli: quando avranno compiuto tutto il loro dovere, si considerino servi “inutili, inefficaci, che non danno frutto” davanti a Dio, perché a lui soltanto risale l’iniziativa e l’efficacia della loro missione. Questa “schiavitù” dell’apostolo è la realizzazione più alta della libertà di amare: lo rende simile al suo Signore, tutto del Padre e dei fratelli. Per il mondo la libertà consiste nel farsi servire, per Dio, invece, nella necessità di servire per amore! Questa schiavitù per amore è la liberazione totale dall’egoismo, essa ci rende liberi di servire come Gesù.
Nel momento in cui Luca scrive, gli apostoli hanno fondato la Chiesa: la loro azione e la loro parola hanno portato frutti in tutto l’ambito del Mediterraneo. Questo risultato è il frutto della loro fede, che solo Gesù l’ha risvegliata con la sua venuta e con la sua parola e resta il solo a suscitarla e aumentarla dopo la sua risurrezione: tutta l’efficacia della loro opera viene da lui e non da loro. Anche coloro che hanno ereditato la fede degli apostoli la chiedano umilmente e riconoscano nei suoi frutti l’azione del Signore.
La tradizione anteriore a Luca
A proposito delle due immagini presenti nel Nuovo Testamento, e cioè quella di “spostare questa montagna” e quella di “sradicare e trapiantare questo gelso”, alcuni autori giudicano “originaria” la prima, perché meglio confermata non solo dal N.T. , ma anche dall’A.T. e dal giudaismo; altri, invece, sono a favore della immagine del sicomoro. Ad ogni modo le diverse tradizioni provengono da un unico detto del Signore sulla fede che trionfa sull’impossibile: Egli si rivolgeva a coloro che avevano creduto alla sua missione. A proposito della parabola del servo inutile, propria di Luca, gli autori affermano che l’originalità del paradosso dei servi “inutili”, liberi da ogni preoccupazione di retribuzione terrena, costituisce uno degli indizi su cui si fonda l’autenticità della parabola, fatta risalire a Gesù stesso. Così i due elementi originari di Luca provengono da Gesù che li ha pronunciati separatamente, l’uno per insegnare agli apostoli la potenza della fede che trionfa sull’impossibile, l’altro per presentare a tutti l’assoluta gratuità del servizio di Dio. La fede è la vita di ogni discepolo: ciascun credente deve riconoscere in essa un dono del Signore; deve pregare perché cresca; e, pur restando sicuro della sua potenza, attribuire al Signore la sua efficacia.
Bibliografia consultata: George, 1976; Fausti, 2011.