Religione

La preghiera di Gesù e il ruolo dei piccoli

Il brano odierno (Mt. 11, 25-30) pone in primo piano i “piccoli e coloro che sono “stanchi e oppressi”, categorie di persone che devono essere ben capite per poter comprendere il testo evangelico.

Il ruolo dei piccoli

Nell’Antico Testamento ricorre con una certa frequenza il termine “anawim” che indica un gruppo particolare di ebrei: i poveri, i piccoli, gli umili (v. 25). Il termine mantiene un riferimento alla mancanza di possesso ma indica anche coloro a cui Dio rivolge le sue attenzioni in modo particolare perché in lui confidano, a lui si rivolgono. Questo termine è tipico della narrazione biblica della storia di Israele: si pensi al grido, ascoltato da Dio, che dà inizio alla liberazione degli Ebrei dall’Egitto.

La necessità, il grido, il lamento, l’oppressione del “piccolo” non può essere indifferente per il Signore, perché Dio ama. Chi è il povero, l’umile? Chi non è superbo, colui che non prevarica l’altro, colui che per rimanere fedele alla volontà di Dio accetta anche di poter essere oggetto di angherie, chi sa che tutto ciò che gli permette di vivere, così come la vita stessa, è dono gratuito di Dio. In tutto questo, l’aspetto economico, pur presente, è secondario, sebbene non di rado la ricchezza possa essere un rischio.

Gesù, nella sua preghiera di lode al Padre, ai “piccoli” contrappone “i sapienti e i dotti” (v. 25), non tanto perché l’ignoranza sia una virtù, ma perché chi si ritiene sapiente è più facilmente uno che tende a ergersi al di sopra degli altri, a essere autoreferenziale, talvolta addirittura a criticare Dio stesso. E’ evidente come qui Gesù non abbia in mente la sapienza di Dio, né tantomeno la sapienza come dono di Dio, ma quella pseudo-sapienza “umana” che vela all’uomo la volontà di Dio.

Gesù nel Vangelo ha parlato a tutti: a ricchi e poveri anche quando sa che esistono difficoltà, da parte dei ricchi, per l’accoglienza del suo messaggio. Emblematiche da questo punto di vista sono la parabola del seminatore, che sparge il suo seme “ovunque”, o la chiamata del “giovane ricco”. Non è però garantito il fallimento dei ricchi a seguire Gesù, proprio perché a essere centrale non è la sola ricchezza materiale. Basta pensare al pubblicano Matteo, presumibilmente benestante, che accoglie la chiamata di Gesù, così come Zaccheo che “restituisce” molto più di quanto aveva rubato donando ai poveri. Questi, pur essendo ricchi, si dimostrano “piccoli e umili”.

Tra piccolezza e accoglienza

Nella seconda parte del brano Gesù mantiene il riferimento ai “piccoli” che in questo caso sono “stanchi e oppressi” (v. 28) e si pone come ristoro e maestro. Il testo ruota attorno al tema dell’accoglienza della persona stessa di Gesù che concede il ristoro assieme al suo giogo (vv. 29-30). Le due cose sono inscindibili perché in gioco c’è l’adesione stessa alla vita di Gesù che, presentandosi come “mite e umile di cuore” (v. 29), si pone come il modello dei “piccoli”, dei “poveri in spirito”, dei “miti e puri di cuore” delle beatitudini, lui, pur essendo Dio, si presenta come il primo degli “anawim”.

La preghiera di lode al Padre

Il brano odierno ci riferisce un momento di gioia ed esultanza interiore vissuto dal Figlio di Dio. Si tratta di un momento di festa intima, senza bisogno di rumore, di esteriorità, di baldoria, perché è un’esperienza di gioia purissima, che potremmo condensare nel termine “giubilo”. Le persone che possono entrare in questa “lode-giubilo” profonda di Cristo, sono coloro che, per la loro condizione di “piccoli” amano il Signore Gesù “mite e umile di cuore”.

Vi è un forte legame tra Dio e queste persone, e chi ripudia con disinvoltura il legame con Dio, facilmente è perché non rientra in questa tipologia di umanità, preferendo collocarsi nel versante opposto, con la loro “superbia e arroganza”, nel sentirsi maggiorenni e quindi insofferenti di Dio, della sua Parola e della sua Legge. Al contrario, il riconoscimento esistenziale di Dio genera rapporti nuovi e intensi con qualsiasi persona, immagine e somiglianza di Dio. Il primato di Dio pone naturalmente al suo posto qualsiasi cosa, ogni dimensione della vita e ciascuna esperienza umana.

I piccoli, in questo senso, sono i veri sapienti, ed è per questo che a loro appartiene il Regno, e che, se non si diventa tali, non si entra nel Regno dei cieli. Del resto il Figlio di Dio non si è presentato al mondo con segni di potenza, ostentando sé stesso, ma con queste caratteristiche dimesse, discrete, ed è per questo che Dio lo ha esaltato, perché, alla fin fine, non conta l’esteriorità, perché il Signore guarda il cuore.

Il mio giogo è dolce (v. 30)

O Signore, è bello credere in te, affidarti la propria vita. Veniamo a te con i nostri carichi senza vergognarci della nostra fragilità, delle nostre infedeltà e delle nostre ferite. I nostri cuori talvolta sono gonfi di tristezza, amareggiati. Eppure non ti fa problema la stoltezza con cui abbiamo buttato via tanti doni preziosi, tante occasioni importanti.

Tu ci accogli così come siamo, semplicemente perché ci ami, e dai sollievo alle nostre spalle perché scegli di portare assieme a noi lo zaino che si è fatto troppo gravoso. Tu ci liberi dai fardelli inutili, tu ci strappi a una fatica insopportabile e ristori le nostre membra. Tu ci rendi finalmente leggeri, tanto che il cammino ora è agevole.

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: Busia, 2023; Riva, 2023; Laurita, 2023.

Redazione

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