Categorie: Politica

La (riforma della) giustizia non è di questo mondo

Il colmo è stato quando il capo politico del M5S, Luigi Di Maio, seguito a ruota dal Guardasigilli Alfonso Bonafede, ha accusato la Lega di dire troppi “no”. È vero che i grillini sono la massima autorità in materia, ma al ridicolo c’è un limite. E, forse, anche al Governo. Certo, non è la prima volta che sorgono contrasti tra i due alleati-rivali di un esecutivo fin troppo eterogeneo. Forse non sarà nemmeno l’ultima. Ma la sensazione è sempre più quella di un filo teso allo spasimo che prima o poi, inevitabilmente, è destinato a spezzarsi.

L’ultimo casus belli in ordine cronologico è stata la riforma della giustizia messa a punto dai pentastellati. Il primo strale è stato lanciato dal Ministro dell’Interno Matteo Salvini, che su Facebook l’ha liquidata (è il caso di dirlo) come acqua fresca. La successiva bordata è arrivata da una nota del Carroccio che, tuonando contro «una non riforma, vuota e inutile», ha assicurato che i leghisti non la voteranno.

Neppure nove ore di Consiglio dei Ministri fiume sono bastate a sciogliere i nodi del progetto, legati per lo più al processo penale. Tanto che alla fine la riforma è stata approvata “salvo intese”, una formula che in politichese sta a indicare la possibilità, se non la necessità di emendare ulteriormente il testo prima ancora che giunga in Parlamento.

Bonafede ha insinuato che l’ostilità della Lega potrebbe essere correlata all’abolizione della prescrizione (che dovrebbe entrare in vigore nel gennaio 2020, ma è subordinata proprio all’approvazione di una riforma del processo penale): il che, se anche fosse vero, sarebbe cosa buona e giusta, dato che la prescrizione è l’unico strumento che consente di salvarsi dalla malsana abitudine di prolungare i processi ad libitum.

Detto dei deliri complottistici dei Cinque Stelle, ciò che non va nella proposta di Bonafede lo ha spiegato Salvini senza mezzi termini: dovrebbe essere imponente, storica e decisiva, come quella approntata dalla Lega che «separa le carriere, dimezza i tempi dei processi, premia chi merita e punisce chi sbaglia».

Quella della separazione delle carriere è uno dei punti più controversi, assieme al mancato intervento sulle intercettazioni. Bonafede ha ricordato che si tratta di due storici pallini di Silvio Berlusconi, e ha usato toni molto duri con gli alleati, invitandoli a mettersi in testa che non stanno governando col Cav. Un punto in realtà difficile da dimenticare, considerando che un esecutivo con il leader di FI non avrebbe mai approvato misure dannose come il Reddito di Cittadinanza.

Nella girandola delle dichiarazioni, Di Maio ha definito quella del Guardasigilli come una «riforma epocale», aggiungendo che bloccarla sarebbe un danno per il Paese. A stretto giro di posta è arrivata la replica di via Bellerio, da cui avrebbero lamentato che le proposte leghiste non sono mai state accolte, e ora sarebbe difficile correggere un testo di cui è sbagliato l’intero impianto. Non a caso, il Carroccio ha liquidato quella di Bonafede come una riforma «di facciata», e Salvini ha ribadito di non essere «al Governo per fare le cose a metà».

Una minaccia, quest’ultima, che si inserisce in quadro che già da tempo ricorda molto un campo minato. Il 6 agosto, per esempio, Palazzo Madama dovrà votare il Decreto sicurezza bis su cui Salvini preme perché sia messa la fiducia. Una mossa estremamente rischiosa, perché vari senatori grillini (oltre dieci, pare) hanno già manifestato la loro contrarietà al testo, e potrebbero anche decidere di morire con tutti i Filistei. Se la legge non verrà blindata, molto probabilmente riceverà i voti di Forza Italia e Fratelli d’Italia e passerà senza sforzo, ma è escluso che i due partiti in questione possano soccorrere l’esecutivo se verrà posta la questione di fiducia.

Oltretutto, a complicare ulteriormente un dibattito già infuocato ci si è messa l’ennesima provocazione della Alan Kurdi, la nave della Ong tedesca Sea Eye che, con tutto il Mediterraneo a disposizione, continua a puntare su Lampedusa in barba alle leggi e ai divieti italiani. «Mi sono rotto» ha tuonato il Ministro dell’Interno, «se entrano in acque italiane le navi saranno requisite e saliremo a bordo».

La tensione, insomma, è alle (cinque) stelle, tanto che perfino laddove si registra maggiore armonia tra i partner di Governo divampano le polemiche. Tornando al testo di Bonafede, per esempio, un sostanziale accordo tra Lega e M5S è stato raggiunto sull’accelerazione dei processi civili e sulla riforma del Csm, che dovrebbe prevedere un sorteggio preliminare dei candidati «per eliminare le derive correntizie» dopo lo scandalo Palamara, come ha spiegato il Guardasigilli. Sulle barricate è però subito salita l’Anm, che continua a scordare che compito dei magistrati è applicare le leggi, non farle o discuterle – e neppure interpretarle.

Il MoVimento ha fatto capire di voler approvare definitivamente la riforma in un nuovo CdM che dovrebbe tenersi prima della pausa estiva. Ma per la Lega non ci sono margini: «la riforma è stata scritta da tecnici e magistrati» è il pensiero filtrato da via Bellerio, con particolare riferimento a Mauro Vitiello, il capo dell'ufficio legislativo del ministero della Giustizia, di area Magistratura democratica (per intenderci, il braccio armato del Pd nei tribunali).

Più che un iter legislativo, insomma, quello del testo di Bonafede sembra un percorso a ostacoli. A conferma che, se la giustizia non è di questo mondo, quasi certamente la riforma della giustizia non è di questo Governo.

*Foto dalla pagina Facebok di Alfonso Bonafede

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Mirko Ciminiello

È nato a Rimini nel 1985 e vive a Roma, dove si è laureato in Chimica (triennale) e Chimica Organica e Biomolecolare (specialistica) a "La Sapienza", in Scienze della Comunicazione (triennale) e Scienze Cognitive della Comunicazione e dell'Azione (magistrale) a "Roma Tre". Giornalista, attore per hobby, collabora con l'associazione "Pro Vita e Famiglia" ed è autore di 9 libri, di cui due in inglese.

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