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La Santa Famiglia di Nazareth

La domenica dopo il Santo Natale è dedicata alla celebrazione della Santa famiglia di Nazareth e, in quest’anno C, nella celebrazione eucaristica ascolteremo il Vangelo di Luca (Lc. 2, 41-52): Gesù ritrovato dai suoi genitori nel Tempio in mezzo ai dottori. E’ nel tempio che dopo tre giorni Maria e Giuseppe trovarono il fanciullo Gesù: Egli era seduto in mezzo ai dottori in atto di ascoltarli e di interrogarli. La prospettiva un po’ diversa mette in luce l’intelligenza del fanciullo. Un’intelligenza che concerne naturalmente il senso delle Scritture in cui Dio manifesta la sua volontà. Gesù comprende la Scrittura, perché sa che cosa Dio attende dall’uomo. E’ appunto in ciò, che consiste la sua sapienza, il cui acume suscita l’ammirazione degli astanti. La stupefacente sapienza di Gesù a dodici anni s’inscrive in un insieme tradizionale giudaico che gli conferisce la sua vera colorazione religiosa. Gesù non è soltanto un fanciullo naturalmente dotato: la sua intelligenza delle cose di Dio testimonia in lui la presenza di una sapienza che viene da Dio stesso.

Gesù e il Padre

“Figlio, perché ci hai fatto così?” (v. 48): Maria, stimando che il fanciullo abbia agito male nei confronti dei genitori, giustifica il rimprovero aggiungendo che con angoscia lei e Giuseppe lo hanno cercato. Anche la risposta assume l’aspetto di una domanda, che è pure un biasimo: “Perché mi cercavate?”. Una seconda domanda spiega il biasimo: non l’avrebbero cercato se avessero saputo ciò che avrebbero dovuto sapere: “non sapevate che io debbo occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio?” (v. 49). Lui deve occuparsi delle cose del Padre, perché è il Figlio che ascolta e risponde a ciò che il Padre ha detto. Le cose del Padre rappresentano la sua volontà, in cui il Figlio obbediente abita di casa, fino ad essere lui la parola del Padre. Maria parlava dei doveri del fanciullo verso i suoi genitori, Gesù parla dei suoi doveri verso Dio. Gesù lascia supporre che i suoi genitori avrebbero dovuto sapere, ma come lo avrebbero potuto? Lui “deve” essere nella casa del Padre suo: in quel “deve” Gesù esprime la necessità del compimento della volontà di Dio; “bisogna”, perché Dio ha deciso così. Gesù parla di un dovere verso il Padre suo, che viene prima degli obblighi verso i suoi genitori.

La madre di Gesù

“Ma essi non compresero quello che aveva detto loro” (v. 50). I suoi non compresero il fatto, è ancora lungo il cammino, siamo solo all’alba del giorno. Meraviglia e stupore sono la reazione di fronte al mistero che non si capisce. L’evangelista si esprime allo stesso modo a proposito degli apostoli: dopo gli annunci di Gesù sulla sua prossima passione e morte e dopo la risurrezione ai due discepoli di Emmaus. Sembra normale che il mistero resti velato e incompreso fino alla piena rivelazione pasquale.

“E sua madre conservava tutte queste cose nel suo cuore” (v. 51). Maria non ha capito le parole di Gesù, ma ha almeno la sensazione di un mistero e ne fa oggetto delle sue riflessioni. La espressione “conservare nel proprio cuore” caratterizza un atteggiamento rivolto verso il futuro. La rivelazione fatta orienta l’attenzione di colui che l’ha ricevuta verso un futuro in cui il compimento di tale rivelazione svelerà pienamente la sua portata esatta, per ora oscura.

Maria sapeva che verrà un tempo in cui sarà manifesto in lui ciò che era nascosto. Maria è tratteggiata come l’ideale del credente. Nel suo modo di rapportarsi alla Parola, si vede traccia del metodo catechetico antico: come lei anche il catecumeno non comprende subito il grande mistero dei tre giorni di Gesù col Padre. E come lei custodisce nel cuore le parole, le impara a memoria, anche se la loro comprensione ancora gli sfugge. In questo ricordo costante della Parola accolta, il cuore progressivamente si illumina nella conoscenza del Signore.

Ciò che l’evangelista dice dell’atteggiamento di Maria ha lo scopo di illuminare i suoi lettori sull’atteggiamento a cui egli li invita. Sa bene che il significato degli avvenimenti e delle parole che ha riferito non può venire ancora capito pienamente. Vuole dunque prevenire discretamente i lettori che tutto ciò diventerà più chiaro nel seguito del suo racconto, allorché questi annunci del futuro riceveranno il loro compimento. Siamo soltanto agli inizi di una rivelazione; non ci si stupisca se non si capisce tutto: la luce verrà più tardi.

L’episodio del ritrovamento non rappresenta un semplice appello alla sensibilità: l’intenzione di Luca è mettere in evidenza gli aspetti cristologici del racconto. La sapienza di cui Gesù dà prova in questa occasione costituisce un presagio del ruolo di dottore che egli svolgerà più tardi e che gli spetta a motivo della sua intelligenza della volontà di Dio. Gesù non s’accontenta d’insegnare la volontà di Dio agli altri. Ne fa la propria regola di condotta, accordando priorità assoluta ai suoi doveri verso il Padre suo, senza paura di dar l’impressione di mancare ai doveri che riconosce ugualmente di avere nei confronti dei suoi genitori terreni. Pur restando sottomesso a costoro, sa che, in quanto Figlio di Dio, deve sottomettersi prima di tutto e avanti tutto al Padre suo. La sua filiazione divina resta un mistero di cui verrà data l’intera rivelazione solo nella Pasqua. Appunto in relazione al fatto pasquale l’episodio del ritrovamento acquista la sua dimensione totale e il suo pieno significato.                                                                                                               

Bibliografia consultata: Dupont, 1971; Fausti, 2011.

Redazione

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