“Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” (v. 17). L’interrogante, nel chiamare Gesù come “maestro buono”, unito al gesto fisico della “genuflessione”, esprime un significato che supera la semplice cortesia. Egli fa sul serio: si tratta di un pio ebreo che chiede al competente “rabbi” (maestro) quale sia l’operare efficace per ottenere la salvezza. Il termine “vita” dice che il giovane anela alla vita piena/eterna, ovunque si trovi. Mentre il verbo “fare” presenta la vita futura come conseguenza dell’impegno umano, il termine “ereditare” indica invece l’azione di Dio, datore della vita ai suoi figli, che hanno diritto all’eredità paterna nell’orizzonte dell’alleanza sul Sinai.
Gesù non risponde alla domanda del giovane nel modo consueto, ma lo fa ponendo una contro domanda: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti…” (vv. 18-19). L’interrogante viene rimandato a Dio da Gesù: egli retrocede davanti all’unico buono. La sua personale bontà è solo un riflesso della bontà assoluta di Dio. L’identità di Gesù non è così facilmente comprensibile, perché emergono sempre aspetti nuovi della sua relazione speciale con Dio e della sua missione, che chiedono alle persone che incontra di fare un passo avanti, e anche a noi di ascoltare e di “camminare con lui” verso Dio, l’unico buono.
E’ tipico di Gesù ricondurre a Dio tutto ciò che ha valore salvifico, perciò egli indica all’uomo la via dei “comandamenti”, quelli noti a tutti, cioè “le dieci parole” che Dio ha donato al suo popolo, perché possa continuare a vivere una libertà ricevuta.
Gesù rimanda la persona all’origine dell’istruzione di Dio; ciò che chiede Gesù vale per ciascuno e a ognuno pone l’esigenza in modo nuovo. L’uomo si presenta come un giusto che fin dalla gioventù “ha osservato tutte queste cose” (v. 20). Gesù vorrebbe portarlo ad amare Dio con tutto il cuore attraverso la sequela: “Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!” (vv. 21-22).
Gesù guardò con affetto il giovane e gli propone di vendere tutto e distribuirlo ai poveri e quindi di seguirlo sul suo cammino. Rinunciare alla proprietà è una precondizione per seguire Gesù: non si lascia per lasciare ma per seguire e vivere con lui in cammino verso il Padre, come è chiaro dall’itinerario dei Dodici. Colui che chiama a seguirlo vuole la persona nella sua interezza: “A queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato: possedeva infatti molti beni” (v. 22). E’ afflitto per il grande patrimonio: “intristito e addolorato” per i molti beni!
L’evangelista sottolinea ora il valore delle parole di Gesù per i discepoli di ogni tempo: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!” (v. 23). Da precisare che qui si parla solo di “difficile” e non di impossibile.
Ciò che è stato detto prima è poi rafforzato con un chiarimento nel quale non si parla più di possidenti, ma del tema ricchezza-proprietà: “E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio” (v. 25). I discepoli non comprendono ancora del tutto il detto di Gesù, rischiano di restare all’interno dell’orizzonte umano, invece di guardare al grande atto di Dio. Per tale ragione il Maestro li cerca ancora una volta con lo sguardo: “I discepoli ancora più stupiti, dicevano tra loro: “E chi può essere salvato?” (v. 26). Ma Gesù, guardandoli in faccia disse: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio” (v. 27). Il dono della sequela è qui un atto di Dio, un dono di grazia.
Dopo una domanda di transizione, nella quale Pietro, nella quale Pietro parla del “lasciare tutto” prima del seguire (v. 28), che mostra un certo smarrimento, Gesù fa una promessa (vv. 29-30) che abbraccia tutta la vita (terrena ed eterna) presso Dio. Seguire Gesù non porta povertà e privazioni, bensì realizzazione della vita e ricchezza. Si deve pensare alla comunione che il discepolo troverà nella comunità, però si deve mantenere anche l’altro lato: tutto avviene insieme a persecuzioni. Parola di consolazione, posta alla fine di questi detti provocatori, intende comunicare fiducia ai discepoli e alla comunità, con quello sguardo di predilezione pieno d’amore, di preoccupazione, di incoraggiamento e rivelazione.
Gesù offre a quel giovane ricco un rapporto unico, il rapporto che dà senso a tutta la vita. Per realizzarlo, per abbandonarsi a lui in totale fiducia, bisogna liberarsi di tutte quelle realtà che, in un modo o nell’altro, si frappongono. La ricchezza è una di queste. Gesù sollecita quell’uomo a renderla uno strumento per aiutare i poveri, per aiutare chi vive nella penuria, in difficoltà. E’ davanti a questa proposta che il suo entusiasmo iniziale si muta in tristezza, che il volto si oscura e il cuore si chiude: perché possedeva molti beni.
La ricchezza può diventare un impedimento perché blocca una relazione autentica con Gesù. Non è facile fidarsi di Gesù quando si conta sulle proprie ricchezze: i beni economici, le proprie risorse culturali e abilità. Non è facile affrontare la vita disarmati, forti solo dell’amore di Gesù. Giocarsi interamente la vita, puntare tutto su Gesù e sul suo Vangelo: ecco una scelta decisamente coraggiosa. Rinunciare a tante sicurezze, a tanti agi, per metterci completamente nelle sue mani, per affidargli la nostra esistenza per una vita piena: qui in terra e in cielo! Insieme a persecuzioni e incomprensioni di ogni sorta! Potrebbe essere davvero esaltante!
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Mazzeo, 2021; Laurita, 2021.
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