La scuola forma i giovani? E allora non si può educare senza punire
La società umana ha bisogno di difendersi dal male covato da Caino, pena la sua completa trasformazione in un mondo di esseri feroci che si sbranano l’uno con l’altro
Dove sta andando la nostra società? Si è aperto un baratro profondo come un buco nero, nero come le anime di coloro che compiono i delitti più efferati. Tutti ci attrae e risucchia con la forza inesorabile del Male, alimentato dai desideri e dalle fantasie più perverse.
In Tv solo cronaca nera, violenze e aggressioni
La cronaca recente è piena di omicidi, ogni giorno più feroci e gratuiti, tanto da poter registrare un guinness del male. Ogni giorno la cronaca dei Tg e dei media ferisce i nostri occhi e i nostri orecchi con le immagini e le urla strazianti dei delitti più efferati, a volte quasi inconcepibili per una persona di media coscienza e intelligenza.
Su di essi poi si replica, affondando il coltello nella piaga con servizi di informazione “approfonditi” in un modo inutile ad aumentare la nostra conoscenza dei fatti ma, forse, soltanto a soddisfare esigenze di voyeurismo macabro che poi inducono menti più o meno malate all’emulazione dei comportamenti peggiori. Sembra perfino che si scateni una gara a chi riesca a compiere atti sempre più violenti, come per stabilire una sorta di guinness del male e dell’orrore.
E tutto accade nella mancanza di efficaci reazioni da parte del resto della società.
Anzi, gli esperti ospitati nei talk show si sforzano di capire quali siano le molle che spingono certi individui al delitto, analizzare i modi in cui si è svolto, il come e i perché. Col risultato di “comprendere” la mente del delinquente e di obliare la sorte della vittima.
Tante sono le persone uccise in questi ultimi mesi, che riesce difficile parlare di tutti. Del resto, si dirà, le cifre rientrano nella statistica del fenomeno; qualcuno sostiene pure che c’è un calo rispetto ad anni passati. Ma la statistica non ci conforta.
Il terribile delitto di Primavalle
Uno dei peggiori episodi è l’uccisione della giovane diciassettenne Michelle Causo, avvenuta il 28 giugno per mano di un coetaneo, originario dello Sri Lanka, a Primavalle.
Dopo averla uccisa con un coltello da cucina (sei fendenti a collo, addome e schiena), il giovane cingalese ha cercato di disfarsi del corpo chiudendolo in un sacco nero per rifiuti, abbandonato dentro un carrello da supermercato in un parcheggio.
Nell’interrogatorio ha dichiarato di aver ucciso la ragazza per un debito di 20-30 euro, che lei avrebbe reclamato per avergli venduto hashish.
Il padre di Michelle ha detto invece che il giovane avrebbe tentato di violentarla, sapendo anche che lei aveva un fidanzato. Comunque sia andata, si può arguire la premeditazione dal fatto che il giovane aveva già il coltello a portata di mano; né si è perso d’animo, avendo tentato di far sparire il corpo.
Altro gravissimo omicidio è quello perpetrato da Alessandro Impagnatiello a Senago in provincia di Milano, la sera del 27 maggio scorso.
Giulia era incinta di sette mesi…
Ha ucciso Giulia Tramontano, la donna con cui conviveva da anni e che portava in grembo suo figlio di sette mesi. Voleva liberarsi di lei, poiché Giulia aveva scoperto che egli intratteneva da tempo una relazione con una collega con la quale lavorava nello stesso bar.
Anche questa donna, più giovane (23 anni; Giulia ne aveva 29) era rimasta incinta, ma aveva abortito, poiché non voleva ancora diventare madre. Nel pomeriggio del 27 le due donne si erano incontrate proprio nel bar, per parlare della situazione. Avevano avuto un rapporto cordiale, di solidarietà femminile e si erano confidate.
Giulia aveva detto di voler lasciare l’uomo per il bene del figlio che doveva nascerle, quindi aveva voluto tornare a casa per il chiarimento con Impagnatiello. Ma questi l’ha aggredita all’improvviso.
Anche in questo caso l’arma è stata un coltello: 37 fendenti su collo, addome e schiena.
Il primo colpo al collo di Giulia le ha reciso carotide, giugulare e trachea; è stato inferto da dietro le spalle, come altri colpi che hanno perforato i polmoni.
Poi l’uomo ha cercato di bruciare il corpo della povera donna prima nella vasca da bagno, poi nel box auto e, non riuscendoci, l’ha infine nascosto nella cantina comunicante con il box.
L’ha portato fuori di lì qualche giorno dopo, lasciandolo tra gli arbusti di un prato.
Nel frattempo, aveva preso il telefonino di Giulia per inviare un SMS alla madre di lei, quindi l’aveva isolato. Nei giorni precedenti l’arresto aveva simulato di non sapere nulla, inviando con il suo telefono messaggi alla donna uccisa in presenza della madre, invitandola a tornare a casa.
Finché è stato scoperto e arrestato
Interrogato, ha ammesso l’omicidio, dichiarando di non sapere perché l’avesse fatto; forse, era sotto stress per la situazione. Quindi ha aggiunto che non sa come potrebbe riparare, tranne che ponendo fine alla sua vita. Vien voglia di accontentarlo immediatamente.
I giudici lo hanno incriminato per omicidio premeditato e occultamento di cadavere, definendolo inoltre un narcisista manipolatore.
La madre, intervistata, ha dichiarato di riconoscere in suo figlio un mostro.
La nostra società oggi è priva di valori e di considerazione della vita, tanto che riesce difficile capire e condannare le cause del male.
In entrambi i casi ricordati, quello di Michelle e quello di Giulia, ciò che colpisce come un pugno allo stomaco è non soltanto la ferocia del crimine, ma ancor di più la mancanza di qualsiasi considerazione per la vita umana e la facilità con cui si programma e si attua la soppressione della vita altrui per i propri egoistici ed assurdi interessi. Nel caso di Giulia inoltre, l’omicida non ha esitato neppure sapendo che doveva nascere un bambino, loro figlio. Si può non amare un bambino, ma ucciderlo nel grembo della madre è una ferocia superiore a quella di Erode.
Il caso degli YouTuber a Casal Palocco
Quando singoli individui o gruppi non danno valore alcuno alla vita, si arriva addirittura ad uccidere per gioco, come dimostra il caso dei The Borderline di Casal Palocco.
Il fatto è uno di quelli di cui si parla tuttora.
Il 14 giugno scorso, poco dopo le ore 15 un’auto potente, il Suv Lamborghini Urus guidato da Matteo Di Pietro con a bordo altri quattro membri del collettivo youtuber investe ad alta velocità la Smart Forfour guidata da una donna che ha con sé i suoi due bambini e la trascina per almeno venti metri. Il piccolo Manuel muore subito, schiacciato nell’impatto; la sorellina e la madre, ferite, sopravvivono. Alcuni operai che stavano nei pressi sono intervenuti per estrarre i corpi dalle lamiere, prima che arrivassero i Vigili del Fuoco.
I presenti hanno raccontato pure che uno degli youtuber, sceso dal Suv, ha continuato a filmare l’incidente con il telefonino, senza curarsi delle vittime.
Infatti, le cinque persone avevano lanciato sul canale Youtube la loro challenge, dichiarando che avrebbero trascorso 50 ore a bordo del Suv, per cui è possibile che si stessero filmando anche poco prima dell’investimento.
Come si sa, avere followers dei video di queste sfide estreme porta grossi guadagni; questo è più importante delle vite messe a rischio. Cosa ancora più sconvolgente, l’intervento di un altro youtuber qualche sera fa nel programma Controcorrente, condotto da Veronica Gentili.
Il ragazzo, ancora minorenne (17 anni) ha definito se stesso un imprenditore e difeso apertamente l’amico Matteo Di Pietro, poiché stava facendo le cose necessarie, richieste dal loro lavoro (!).
Inoltre, rivolgendosi alla conduttrice Gentili e agli altri giornalisti e professionisti presenti dava del “tu” a tutti, come se fossero amici allo stesso livello.
Si prova a capire le ragioni di chi uccide e non quelle di chi è ucciso
Nessuno gli ha rinfacciato la sua spocchia, tutti si sforzavano di capire le ragioni del comportamento dei challengers e le modalità di una simil – professione!
Possibile che un adulto colto ed esperto si inginocchi di fronte ad un bambino capriccioso?
Con questa posizione non si capiscono realmente le cause del male, gli autori di crimini restano impuniti e le vittime non ottengono giustizia.
La mancanza generale di qualsiasi valore in questa società, specialmente di quello che giustamente si chiamava sacralità della vita, porta l’uomo ad uccidere non soltanto per conseguenze di giochi pericolosi, ma addirittura per provare delle sensazioni forti.
Il delitto del Collatino
E’ il caso dell’assassinio di Luca Varani (23 anni) la notte del 4 marzo 2016 al Collatino.
Condannati due amici di 30 anni, Manuel Foffo e Marco Prato. Il secondo si considerava gay, il primo etero ma con una fantasia sadica sfrenata.
Erano amici da diversi anni, consumavano droga insieme abitualmente. All’inizio di marzo si erano chiusi in casa, facendosi arrivare la cocaina.
Trascorsi due giorni senza mangiare, imbottiti di alcool e droga fino a scoppiare, ebbero l’idea di invitare un conoscente del Prato per proseguire il festino, anche con il sesso. Foffo aveva già concepito l’idea di uccidere, per constatare l’effetto che avrebbe fatto loro.
Invitarono Varani per telefono, adescandolo anche con una piccola offerta di denaro.
Poco dopo l’arrivo, dopo averlo stordito con l’alcool e la droga, lo aggredirono colpendolo ripetutamente con un grosso coltello e un martello, fino a ridurlo in fin di vita.
Luca soffrì molto prima di morire, come ammise Marco Prato nell’interrogatorio.
I due furono condannati a 30 anni di carcere; il Prato, per il rimorso, si impiccò in cella.
All’inizio del processo d’appello nel 2018, il difensore di Foffo richiese la perizia psichiatrica per stabilire se era in grado di intendere e di volere al momento dell’omicidio.
Il padre del Varani ha dichiarato alla stampa che una perizia è inutile, in quanto il Foffo aveva dimostrato una lucidità incredibile nel concepire, programmare ed eseguire l’atroce delitto, con piena premeditazione. Perciò avrebbe dovuto scontare l’ergastolo.
Come dargli torto? Anzi, forse l’ergastolo è poca cosa.
Se non si riesce a condannare il male, non si può neppure arginare o prevenire
Una risposta che viene frequentemente data è quella della necessità dell’educazione dell’individuo, che sarebbe demandata alla scuola.
Risposta debole e inadeguata, dato che il primo rapporto il bambino lo ha con i genitori: questo è anzi fondamentale per la strutturazione della psiche.
Oggi però i genitori, figli e nipoti di precedenti generazioni che avevano inneggiato alla liberazione dell’individuo da ogni valore culturale, ritenuto a priori repressivo, hanno rinunciato al loro ruolo ed all’autorità inerente ad esso. Demandandolo ipocritamente agli insegnanti privati della necessaria autorità, scarico sociale e bersaglio perseguito di tutte le frustrazioni.
Si capisce che la funzione così richiesta alla scuola è impossibile.
Anzi, come già scritto in un precedente articolo (Scuola Far – West, RomaIt, 8 giugno), nella prassi si realizza una funzione di giustificazione e di rafforzo delle tendenze peggiori, per cui la scuola può essere considerata un vivaio di crescita del malcostume e della criminalità giovanili.
Ribadiamo che non si può educare senza punire.
Ogni azione va giudicata per quello che è e per le sue conseguenze; la punizione deve avere sì il fine della rieducazione, ma deve essere adeguata alla gravità dell’azione stessa.
Per esempio, i giovani che hanno accoltellato insegnanti, o hanno loro sparato, andrebbero bocciati ed espulsi (almeno per un anno) da tutte le scuole.
Inoltre, dovrebbero scontare una pena a servizi sociali pesanti; così potrebbero capire dove può portarli la loro condotta. Dopo, sarebbe troppo tardi.
La società umana ha bisogno di difendersi dal male covato da Caino, pena la sua completa distruzione e trasformazione in un mondo di esseri feroci che si sbranano l’uno con l’altro, peggio degli animali.
Non meritiamo di finire così. Nell’animo umano c’è anche la scintilla del bene, che va coltivato e difeso per farci star bene con gli altri e con noi stessi, come abbiamo dimostrato anche con le nostre creazioni artistiche nella storia.