La grande novità della Pasqua viene affidata alle donne e l’evangelista Giovanni (20, 1-9) riconduce questa antica tradizione a una donna precisa, Maria di Magdala. Questa è una tendenza che il Quarto Vangelo persegue in diversi casi: reinterpreta i racconti sinottici (Matteo, Marco e Luca) personalizzandoli. Il Vangelo giovanneo propone questi esempi al suo lettore perché scopra la bellezza di incontrare personalmente Gesù al di là della dimensione sociale che vive, del gruppo che gli sta attorno.
Non si tratta ovviamente di escludere il ruolo della testimonianza ecclesiale: presentandoci vari testimoni, si arriva alla fede attraverso dei segni, raccontati da altri. Alla fine però nessuno può fare l’atto di fede al nostro posto: la decisione di credere è la più alta espressione della libertà di ciascuno di noi e ognuno può e deve compierla come una propria, convinta, decisa presa di posizione da difendere contro tutto e contro tutti.
Questa dinamica viene sviluppata qui nel nostro brano pasquale: la Maddalena riporta la notizia della tomba vuota e Pietro e un altro discepolo, il Discepolo amato, partono a verificare quanto detto. L’accostamento delle due figure, Pietro e Giovanni, serve per bilanciare sempre i due aspetti della Chiesa di Cristo: quello di una chiesa più ufficiale con quello di una relazione più diretta, intima e personale verso Gesù.
Non si vuole negare dunque l’aspetto della “Comunità” (Ecclesia) ma metterlo al posto giusto, ossia al servizio della relazione personale che ogni credente deve instaurare con il Cristo risorto. Entrare in amicizia con il Signore è una scoperta che la chiesa può e deve aiutare ma che non può imporre. Certo, la testimonianza ecclesiale ha un primato: è lei la portatrice di una Parola autentica, che Gesù le ha affidato. Ma questa Parola poi deve germogliare dentro il credente e fare in modo che Gesù dimori, rimanga con il suo discepolo. Allora ciascuno può scoprirsi parte di questo gregge senza essere ridotta a parte minuscola di un tutto inglobante.
Se leggiamo in questo modo il confronto tra Pietro e il Discepolo amato, capiamo che da un lato sono sullo stesso piano: partono infatti insieme per recarsi alla tomba (vv. 3-4) e alla fine si dice che entrambi non avevano compreso ancora la Scrittura (v. 9). All’interno però di questo brano troviamo anche delle differenze: il Discepolo amato arriva prima alla tomba, ma non entra. Questo dato può essere letto in più modi: se davvero il Discepolo amato è specchio della relazione più diretta, personale con il Signore, è vero che questa è più immediata, ha le ali ai piedi, vince su un discorso più ufficiale e burocratico.
Eppure non porta a disdegnare l’autorità che ha un primato di attestazione: tocca infatti a Pietro entrare e verificare in modo autorevole che la tomba è vuota. A questo punto ecco una nota a favore del Discepolo amato. Se la chiesa, con la sua tradizione autorevole, garantisce il dato storico (la tomba vuota, c’erano solo i teli e il sudario) il passaggio successivo è l’interpretazione di questo fatto. E questo sta al singolo credente.
Anche il Discepolo amato dunque entra e vede: ma per lui si aggiunge l’indicazione che “credette” (v. 8). Questo dato è fondamentale: per credere non occorrono per forza la visione degli angeli o le apparizioni dirette del Cristo risorto. Certo, non devono mancare e non mancano nei sinottici e anche qui in Giovanni. Eppure lo scopo del Vangelo è portare ogni persona a credere anche senza vedere, come ascolteremo nell’episodio dell’incredulo Tommaso.
In verità, non si chiede di non vedere nulla: dal nulla non viene nulla. Il Discepolo amato ha visto la tomba vuota ma è stato capace di leggere i dettagli: ha visto i vestiti ma soprattutto il sudario che nota essere stato disposto a parte, piegato. In questa cura è capace di vedere un segno: la tomba vuota non è il frutto di una rocambolesca fuga in seguito a un furto maldestro.
Qualcosa di grande è avvenuto lì in quel luogo. Questo stesso atteggiamento è quello che Giovanni chiede al suo lettore quando descrive la scena della croce: Gesù in quella triste vicenda ha invece realizzato la Scrittura. Nessuno se n’è accorto, se non Gesù stesso e l’evangelista che poi ha scritto di questi fatti. Con grande precisione l’evangelista Giovanni mostra che certe Scritture si sono realizzate esattamente in quella vicenda.
A noi credenti è chiesta una doppia attenzione: da un lato, viene presentata un’indagine molto ravvicinata, di chi scruta il corpo di Gesù alla ricerca di un qualche osso rotto. Dall’altra, invece, occorre uno sguardo universale per scoprire che lì, colui che è stato innalzato, è un polo d’amore che può attrarre chiunque. E’ proprio di chi è innamorato di Dio poter scegliere questi particolari: chi vuole decidersi per Gesù, ha segni sufficienti da vedere per poter credere in lui come il Risorto!
Cosa significa celebrare la Pasqua? Cosa significa credere nella risurrezione di Gesù? Significa riconoscere la forza dell’amore, capace di sconfiggere le forze del male quando sembrava che queste avessero l’ultima parola. Significa accogliere la novità di un amore che si rivela attraverso la spoliazione più completa, fino ad apparire del tutto fragile e disarmato. Significa abbandonarsi a questo amore, lasciandosi alle spalle le proprie paure e il ricordo delle proprie infedeltà, per lasciarsi colmare da una Presenza che porta gioia e pace.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Flori, 2024; Laurita, 2024.
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