La vitamina D riduce significativamente il rischio di sviluppare malattie autoimmuni nella popolazione generale. Questi i risultati di un importante studio clinico randomizzato in doppio cieco, controllato con placebo, su oltre 25.800 partecipanti, condotto a livello nazionale ad Harvard, e recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista British Medical Journal.
I partecipanti, che includevano uomini e donne di età superiore o uguale ai 50 anni per gli uomini e
ai 55 anni per le donne, sono stati suddivisi in 4 gruppi:
Sono stati seguiti per circa 5 anni ed è stata valutata l’incidenza di malattie autoimmuni (artrite reumatoide, polimialgia reumatica, malattie autoimmuni della tiroide, psoriasi, etc.) nei 4 gruppi.
I risultati sono stati straordinari: l’integrazione di vitamina D per cinque anni, con o senza acidi grassi omega 3, ha ridotto l’insorgenza di malattie autoimmuni del 22% mentre l’integrazione di acidi grassi omega 3, con o senza vitamina D, ne riduceva l’incidenza del 15% (ma non statisticamente significativo). Tuttavia, quando si includevano anche i partecipanti con probabile malattia autoimmune, la supplementazione con grassi omega 3 ha ridotto il tasso di incidenza del 18% rispetto al placebo mostrando così un’interazione significativa, indicando un aumento dell’effetto nel tempo, dopo una maggiore durata dell’integrazione.
Inoltre considerando solo gli ultimi 3 anni di intervento, il gruppo che assumeva vitamina D (con o senza omega 3) mostrava una riduzione dell’incidenza di malattie autoimmuni fino al 39% in meno rispetto ai gruppi con placebo.
Già diversi studi osservazionali precedenti avevano dimostrato quest’effetto protettivo della vitamina D nelle patologie autoimmuni. L’effetto protettivo di questa vitamina, o meglio ormone, è probabilmente mediato dal suo metabolita attivo, 1,25-diidrossivitamina D, che regola una serie di geni coinvolti nell’infiammazione e nelle risposte immunitarie acquisite e innate oltre ad attivare i linfociti T regolatori che modulano le reazioni immunitarie nell’organismo.
Non dimentichiamoci che livelli sierici ottimali di vitamina D sono indispensabili per una buona risposta immunitaria contro virus, batteri e micoplasmi. E oltre a calare l’incidenza di malattie autoimmuni e infezioni sembra utile anche nel ridurre il rischio di sviluppare tumori, ridurre la mortalità per questi ultimi ed è imprescindibile per la prevenzione cardiovascolare: con elevati livelli sierici (50-60) di vitamina D si ha una significativa riduzione del rischio di sviluppare infarto, ictus, ipertensione ed un migliore controllo glicemico.
E’ evidente quanto sia importante controllare i propri livelli sierici di vitamina D, in particolare nei mesi invernali in cui tendiamo ad esserne più carenti, ed eventualmente supplementare con un integrazione giornaliera o settimanale così da mantenere sempre livelli sierici di 25-idrossivitamina D sempre uguali o superiori a 40 ng/ml, facendo attenzione a non superare gli 80 ng/ml. E questo è ancor più imprescindibile nei soggetti già affetti da patologie autoimmuni o con storia familiare di autoimmunità che dovrebbero sempre controllare e mantenere i livelli sierici di vitamina D tra i 50-60 e gli 80 ng/ml.
Lo specialista deve valutare e prescrivere l’integrazione corretta, anche se dosi fisiologiche di 1.000 o 2.000 UI giornaliere non hanno mostrato alcuna tossicità nel lungo termine in soggetti sani.
Infine non dimentichiamoci di passare più tempo possibile all’aperto e al sole, in particolare nei periodi estivi: non c’è miglior fonte di vitamina D che quella fornitaci dalla natura, soprattutto in virtù del fatto che negli alimenti è spesso carente e le fonti che presentano quantità elevate o discrete sono purtroppo quelle meno consumate come olio di fegato di merluzzo, fegato, burro, formaggi grassi, alcuni pesci grassi (come salmone, sgombro, tonno, etc.), uova e funghi selvatici.
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