Il dolore della famiglia del piccolo campione di surf attaccato e ucciso da uno squalo nelle acque dell’Oceano Indiano pochi giorni fa è incontenibile. E’ assurdo morire a 13 anni e lo è ancora di più se la morte arriva in maniera così drammatica e violenta.
Il piccolo Elio, come hanno raccontato le cronache di tutto il mondo, era un appassionato del surf. Sport, questo, per il quale nutriva un amore viscerale che lo aveva portato ad allenarsi nelle più note località apprezzate dal mondo degli sportivi di quella specialità. A dispetto del suo nome e cognome (Canestri, ndr) che suonano italianissimi, il giovane era francese ed era capace di farsi rispettare a bordo della sua inseparabile tavola con la quale era in grado di compiere vere e proprie acrobazie. Ormai era riuscito a farsi un nome nel giro, tanto che campioni ben più noti del piccolo Elio vedevano in lui una futura e sicura promessa del surf internazionale. Chi conosce e apprezza quello sport sa che per praticarlo, oltre ad avere una vera e propria passione per il mare, è necessaria molta pratica e tanto lavoro da svolgere necessariamente in acqua aspettando le onde giuste da cavalcare all’infinito. Ed è proprio in una di queste occasioni di allenamento che la tragedia si sarebbe abbattuta pesantemente sul povero ragazzino a bagno nell’oceano.
Quel giorno, raccontano testimoni e amici della vittima, avevano deciso di fare una sessione di allenamento lungo un tratto di spiaggia bellissimo. Le onde promettevano. Sarebbe stata una bella giornata.
Siamo sull’isola francese di Reunion, pieno Oceano Indiano, non distante dal Madagascar. La zona e l’isola sono diventate celebri negli ultimi anni non soltanto per la bellezza quasi incontaminata di quei luoghi ma anche per la serie di attacchi di squali all’uomo che sono stati registrati. Ben 16, dei quali 7 avevano avuto esito fatale per le vittime. La pericolosità di quelle acque era stata più volte resa nota e pubblicizzata tanto che, dopo l’ultimo attacco di qualche tempo prima, le autorità avevano deciso di interdire quelle acque alle attività anche sportive di surfisti e bagnanti.
Purtroppo il caso ha voluto che il gruppo di sportivi del quale faceva parte il giovane Elio, ignorasse tale ordinanza. I ragazzi, incantati dalle onde di Cap Homard, sulla costa occidentale dell’isola, si sono avventurati in mare cavalcando le loro tavole e cominciando a prendere le prime onde. “Improvvisamente non vedevamo più Elio e abbiamo sentito delle grida!”. Il racconto di uno dei ragazzi presenti al momento dell’aggressione è confuso e drammatico tanto che, successivamente, tutti i testimoni sono stati affidati alle cure di uno psicologo. Il dramma, tuttavia, si era già compiuto. Uno squalo di quasi tre metri, pare si trattasse di un “bull shark” (squalo toro o zambezi, una specie nota per l’aggressività e la potenza del morso) aveva ripetutamente e improvvisamente attaccato il piccolo a braccia e gambe procurandogli ferite gravissime anche all’altezza dello stomaco.
I soccorsi, arrivati in tempi brevi insieme a decine e decine di persone richiamate dall’episodio, si sono trovati di fronte una scena agghiacciante. Purtroppo era stato chiaro a tutti che la vita del piccolo era appesa ad un filo. Un filo talmente esile e delicato che si sarebbe spezzato pochi istanti dopo.
Così, dopo solo 13 anni di capelli biondi e mare e salsedine e tavole da surf, il piccolo uomo che cavalcava le onde come “uno grande” se ne era andato. Ora non sarebbero rimasti altro che dolore, rabbia e tristezza e qualche polemica che fa seguito alle dichiarazioni della Guardia Costiera a conferma del fatto che i ragazzi si trovassero in zona proibita e ben al di là delle zone controllate e sicure. Polemiche che servono a poco se non come insegnamento ai tanti amanti del surf che, con tanto amore e un pizzico di follia, spesso si avventurano in territori selvaggi e pericolosi senza dare troppo credito a divieti ed ordinanze. La scomparsa del piccolo Elio rattrista il mondo degli appassionati di mare e non solo. La sua tavola continua a cavalcare il blu.
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