Nel brano della Trasfigurazione (Mc. 9, 2-10) i discepoli vengono introdotti in questo misterioso disegno divino: sentono dire da Dio che Gesù è il Figlio amato dal Padre. Tra il Padre e il Figlio c’è perfetta sintonia, ancor più che nella storia dei patriarchi: Dio sacrificherà veramente il Figlio dimostrando un amore enorme, tale da dare la cosa che ha di più caro per salvare l’umanità.
Il brano della Trasfigurazione è dunque un testo che vuole introdurre i discepoli in questo mistero di amore. L’evangelista Marco, nella sua narrazione, evoca la salita di Mosè sul monte Sinai per ricevere da Dio le tavole della Legge; inoltre, Gesù si confronta con Mosè ed Elia. In pratica, in Gesù si trovano condensate tutte le esperienze dell’Antico Testamento e anzi il suo essere trasfigurato dice un superamento: ormai la rivelazione di Dio passa direttamente attraverso il Figlio.
Qui ci interessa sottolineare che la Legge, la giustizia di Dio, tutti gli antichi insegnamenti hanno come unico vertice e compimento il sacrificio di Gesù, Figlio dell’uomo. La vera Trasfigurazione si vedrà sul volto del Crocifisso: per la sua totale capacità di donarsi, per il suo non giudicare e non condannare, Gesù è il figlio prediletto. La voce di Dio interviene proprio per dirci che lui è il Figlio amato, che per amore è pronto a morire sulla croce per la nostra salvezza.
Questo messaggio bello e intenso è però misterioso, come mostra l’incomprensione di Pietro che in questo brano cerca di dire la sua, ma sbaglia: questa visione non è una grazia da trattenere per sé; la salita al monte è in funzione dell’annuncio, dello scendere per proclamare a tutti che la gloria di Dio si manifesta sul Golgota più che sul Tabor. Dio dona sé stesso per l’umanità, dimostrando così la sua giustizia misericordiosa, nella quale saranno benedetti tutte le donne e tutti gli uomini della Terra.
Inoltre, la questione ancora più importante del rimanere sul Tabor è quella della risurrezione. In realtà, la Trasfigurazione viene subito dopo il primo grande annuncio della passione (Mc. 8, 31), seguito dal famoso rimprovero a Pietro: “Vai dietro a me, satana” (v. 33). Al centro del mistero di Cristo c’è l’evento pasquale. Dio ci ha salvato non con un evento di gloria, con una manifestazione di potenza, ma con la morte del Figlio.
E’ questo il centro dell’annuncio cristiano ed è il mistero con il quale ogni credente deve confrontarsi. Il cristianesimo nasce in verità quando in quella morte i primi cristiani hanno riconosciuto qualcosa di grande. Certamente, senza aver visto la vita di Gesù non avrebbero potuto comprendere il gesto della sua morte, ma è vero che fin quando non l’hanno visto morire non avevano veramente compreso chi fosse e quale fosse l’importanza che egli rivestiva per il mondo intero.
Finché sono stati i semplici seguaci di uno dei tanti predicatori della storia non sono stati ancora vera Chiesa: questa nasce nel momento in cui annuncia non un uomo che fa molti miracoli e predica con magnifiche parabole, ma il fatto che Dio muoia per noi. Che la salvezza passi attraverso la croce è la grande sfida con la quale l’uomo sempre si confronta e alla quale in fondo sempre si oppone. In effetti, giustamente l’uomo cerca la vita e la fede certamente non è una via al dolorismo, alla sofferenza. Eppure, la vita è piena solo quando giunge al dono di sé per gli altri.
I primi cristiani pensavano di non morire: attendevano un ritorno imminente del Signore e credevano che la fede portasse una vittoria sulla morte già al presente. Il testo della Trasfigurazione mostra invece che la promessa di vedere il Regno di Dio venire in potenza non si riferiva alla “parusia” (ritorno finale) ma appunto a questo privilegio di aver assistito alla Trasfigurazione del Signore.
In conclusione, la fede non evita la morte ai credenti, come non lo è stato per Gesù. Certo che chi crede in Cristo ha già la vita eterna: l’evangelista Giovanni lo dice in più passaggi e soprattutto lo afferma in Gv. 14, 6 definendo Gesù “via, verità e vita”. Questa vita però si si ottiene non evitando la morte ma attraversandola.
Questo è il mistero di morte e risurrezione: credere nella risurrezione vuol dire saper vivere la propria vita senza paura di donarla, sapendo che il senso della vita è l’amore e proprio per questo non temiamo di spenderla per gli altri. Con il suo sacrificio, Cristo insegna a dare tutto e questi annunci sono posti proprio a cornice del nostro brano sulla Trasfigurazione.
In questo cammino di Quaresima la Trasfigurazione insegna dunque a indirizzarci in maniera corretta verso la gloria di Dio, che non sta in grandi visioni celesti ma nel contemplare il Figlio dell’uomo che soffre per noi. Sul suo esempio, i cristiani possono imparare a sfidare il male, senza paura di soffrire, per questo loro dono d’amore che non è una sconfitta o un perdersi inutile ma è essere partecipi della vittoria di Cristo. Questa si è compiuta ed è già ora efficace: si realizza ogni volta che qualcuno sa soffrire o morire per un fratello o una sorella.
C’è per ognuno di noi un monte della trasfigurazione. E’ grazie a quello che lì avviene che possiamo fronteggiare i momenti oscuri della prova, quando ci pare di essere abbandonati da tutti. In quei frangenti conterà solo la certezza di un amore che non ci abbandona, la fiducia riposta in lui, Gesù. Ascoltarlo non significa solo accogliere la sua parola, ma viverla, immersi nel suo mistero di morte per partecipare con lui alla risurrezione.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Flori, 2024; Laurita, 2024.
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