La verità: l’emergenza sanitaria per il Covid-19 non nasce a fine febbraio 2020
Siamo sicuri che il covid-19 e la relativa emergenza nazionale abbiano avuto inizio il 28 febbraio, giorno in cui viene firmato il primo dpcm?
Siamo sicuri che il covid-19 e la relativa emergenza nazionale abbiano avuto inizio il 28 febbraio, giorno in cui viene firmato il primo Dpcm?
È nel rispondere a questa domanda che la sintesi di tutta questa storia reclama la necessità di una versione vera per quanto amara!
Sicuramente la molecola del sars covid-19 viene scoperta verso la fine del 2019 quando penetra nell’organismo umano e da lì in poi diviene famosa quanto la molecola dell’acqua. Ma l’emergenza che si decreta con la firma del dpcm del 28 febbraio ha reale inizio quel giorno? Dal punto di vista giuridico sicuramente si, ma dal punto di vista sanitario assolutamente no. Il 28 febbraio si dà corpo giuridico, cioè si conferma e mette per iscritto solo ciò che già era prevedibile e momentaneamente latente.
Nasce a fine ’92 la crisi sanitaria
Per dare una data di nascita all’emergenza in corso dobbiamo risalire addirittura al 1992. Più esattamente agli ultimi istanti di vita di una prima repubblica che nel letto di rianimazione e consapevole che i macchinari che la tengono in vita non riescono più a garantire i parametri vitali, decreta che la sanità debba subire una storica trasformazione. Si tutte le (USL) unità sanitarie locali ripartite sul territorio nazionale con d.l 502 del 30 dicembre 1992 vengono trasformate in (ASL) Aziende Sanitarie Locali.
Ai più tale trasformazione più sembrare irrilevante visto che a cambiare è solo una lettara, la ” U” che diviene “A”, ma proprio nel concetto fra Unità e Azienda che invece dobbiamo ricondurre la sintesi di questa spaventosa emergenza.
Prevenire è meglio che curare
Si perché con quel decreto legge si trasforma la sanità in azienda e l’azienda da sempre incorpora nella sua concezione oltre l’organizzazione, le funzioni e i ruoli una gestione delle risorse economiche che devono quadrare e rispondere alla legge dei costi e dei ricavi. Cambia così anche il ruolo del malato che da paziente diviene cliente. Si crea per essere audaci, il mercato della salute. Ecco allora, come ogni mercato che si rispetti che l’offerta comincia a rispondere alla richiesta. Quale richiesta? Quella della diagnosi! Quella della visita medica e del controllo strumentale in nome di una nuova concezione: “La prevenzione”.
Prevenire è meglio che curare! Giusto e sacro santo. Ma siamo sicuri che la prevenzione è quella di indagare sulla reale presenza di una patologia? O forse prevenire è qualcosa che appartiene più al modello di vita e a tutta quella serie di scelte e comportamenti che possono fortemente contribuire a non ammalarsi? Prevenire significa rimuovere le cause di una malattia, le rimuove e così riduce il numero di malati, ma questo non paga come invece fa un malato.
Ecco che erroneamente la sanità si appropria anche di un concetto che non gli appartiene e sul quale fonda il suo nuovo mercato. Ma che c’entra tutto questo con l’emergenza in atto?
Cosa significa emergenza?
C’entra eccome invece. Perché l’emergenza in atto non è data dalla clinica della malattia, l’emergenza in atto è data solo ed esclusivamente dalla incapacità delle risorse atte a contrastarla. Il significato stesso di emergenza lo dice. Per emergenza si intende, ogni situazione in cui il personale o i mezzi a disposizione di un determinato territorio risultano insufficienti all’attuazione di un efficace intervento sanitario. Lo è, perché il nostro sistema sanitario non è in grado di poter rispondere alle richieste che determina l’emergenza, non per il fatto che la mortalità o la clinica di questo virus sono più preoccupanti rispetto ad altre patologie.
Per rendere bene l’idea prendiamo l’esempio dei terremoti. I danni che può provocare un terremoto di magnitudo 7.5 della scala Richter a Tokyo sono gli stessi di un terremoto di stessa magnitudo in Calabria? A Tokyo oltre a qualche computer che vola dalla scrivania o a qualche scaffale pieno di prodotti che cade in un supermercato, come tante volte abbiamo visto nelle riprese a circuito chiuso, ci sarebbero pochissime vittime e qualche ferito. Un terremoto uguale in Calabria risulterebbe devastante. I morti centinaia se non migliaia e la distruzione risulterebbe totale. Perché?
Emergenza sanitaria cambia da Paese a Paese
Qual è il motivo per cui a parità di magnitudo tanta differenza? E in Giappone non vi sarebbe nessun decreto di emergenza da firmare all’istante e invece nel caso accadesse in Calabria si parlerebbe immediatamente di stato di emergenza? Perché è l’aspetto strutturale che fa la differenza. Non la differenza strutturale degli edifici che, si partecipano in maniera fondamentale all’assorbimento della scossa, ma strutturale in riferimento alla capacità organizzativa e programmatica che ha reso fattibile la costruzione di quel tipo di edifici.
La Sanità ha fallito
È su questo punto che la moderna sanità ha fallito. Tutta impostata sul mercato che essa stessa ha creato, quello della clinica della diagnosi e della farmacologia, si è disinteressata dell’aspetto della medicina vera e propria, dei posti letto dell’assistenza al malato, dell’urgenza. Una sanità divenuta business, sulla quale il mondo della finanza e della speculazione è riuscita a mettere mano in nome del liberismo e della privatizzazione della struttura convenzionata. Una sanità che ha creato disuguaglianze spaventose all’interno dello stesso territorio nazionale in nome di un federalismo regionale.
Persa la centralità perso il senso comune oserei dire. Così diviene normale e accettabile anche l’offerta turistica che alcune strutture del nord Italia offrono per curare i malati del nostro meridione.
La sanità aziendale risponde ad altri criteri
E così diviene normale svegliarsi un giorno e venire a conoscenza che la grande cattedrale del San Raffaele di Milano, tanto decantata, non può rispondere a questa emergenza perché programmata solo per rispondere a leggi di mercato sulle quali ha potuto imporre la sacralità della sua monumentale cupola. Un modello quello che il covid-19 ci svela, che non risponde più ai canoni della medicina. Il giuramento d’Ippocrate è secondario e speculativo al conto bancario. Tutto è relativo e tutto è solo in funzione del dio denaro. Prima la cura poi la malattia e quando come in questo caso arriva la malattia e non si conosce la cura, crolla su se stessa.
Di “Insufficienti risorse atte a soddisfare le richieste ” si parla in caso di emergenza. E che fa la politica? Nulla. Resta impantanata dentro l’assurdo orgoglio di una sua compagine. Davanti all’urgenza e alla possibilità di osare una vera ristrutturazione, davanti all’occasione di poter davvero offrire le risorse necessarie usufruendo di un bel gruzzolo di soldi come quelli del MES, alza le mani e traccheggia fra tamponi e statistiche. Più importante non essere screditati dall’opposizione e presi come incoerenti, che agire e fare la differenza.
Trentasei miliardi di euro potrebbero davvero fare la differenza fra saper curare e l’essere impossibilitati a farlo. Basta parlare di covid come fatto fino a oggi. Se vogliamo parlare di covid dobbiamo farlo con onestà, con senso di responsabilità perché oltre ai malati di covid-19 continuano a esserci tanti altri malati!
Basta cavalcare il covid da maggioranza e opposizione come fosse un argomento a sé, basta parlarne al bar o nei talk show come un argomento calcistico. Se si vuole parlare di covid lo dobbiamo fare con serietà e senso di responsabilità, in poche parole, con coraggio!