Questa storia con parabola (Mt. 21, 33-43) conclude la “trilogia” delle parabole dell’evangelista Matteo, incentrate sul motivo della “vigna”. Il racconto parabolico si sviluppa in due momenti: l’affidamento della vigna da parte di un padrone a dei contadini fittavoli; e la seconda parte, più ampia e dettagliata, descrive la riscossione dei frutti che spettano al padrone al momento della raccolta.
Sul finale del racconto, che culmina nel rifiuto omicida dell’erede e nel tentativo di impadronirsi della vigna, “Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità” (v. 38), fa leva la seconda parte. In essa si passa a riflettere sugli interlocutori la medesima dinamica, mediante un dialogo tra questi ultimi e Gesù: “Quando verrà il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?” (v. 40). Gli rispondono: “Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo” (v. 41)
Questa sentenza di Gesù riecheggia il Salmo 117, 22 dove ricorre l’immagine della pietra scartata dai costruttori, divenuta fondamento di una nuova costruzione. La frase conclusiva di tutta la parabola (v. 43) riprende e accentua il motivo del passaggio del “regno di Dio-vigna” a un nuovo popolo. La condizione determinante di una tale svolta storica è ancora il “dare frutti”.
L’evangelista Matteo mette in evidenza l’accento polemico del racconto evangelico. La parabola è rivolta ai capi storici di Israele: sommi sacerdoti e anziani del popolo. Ma l’evangelista, riproponendola per la sua comunità, ci invita a vedervi un aspetto attuale. Non esistono garantiti nel processo salvifico. L’evangelista denuncia una concezione possessiva della fede e dell’appartenenza ecclesiale. Il regno di Dio è grazia, ma il dono di Dio sollecita e rende urgente la risposta generosa di quelli che ne sono destinatari.
Quello che vuol dire Gesù con la sua conclusione particolare della parabola dei vignaioli ribelli, è che nessuno può rivendicare il diritto di proprietà sul “regno di Dio”, neppure la chiesa costruita sulla pietra angolare che è Gesù Cristo. Il titolo di appartenenza alla comunità messianica o al popolo di Dio non è più l’identità etnica, ma la fecondità, “fare fruttificare” il regno di Dio.
Il primo evangelista intende lasciare un messaggio che scuota i suoi lettori dalle false sicurezze. Non basta far parte della comunità alla quale è ora affidato il regno di Dio. Alla fine il criterio per essere riconosciuti dal Signore, giudice della storia, è l’attuazione della volontà del Padre. A sua volta essa si esprime e concretizza nelle opere buone, quelle della carità operosa.
Pare di vederlo quest’uomo che sceglie un terreno adatto, che pianta le piccole viti, che circonda la proprietà con una siepe e pensa addirittura a costruire un torchio per la spremitura dell’uva e una torre per la difesa della proprietà.
Pare di vedere la cura e l’attenzione con cui procede, nonostante la fatica, resa più pesante dal caldo, portandosi dentro il sogno di un vigneto che a suo tempo produrrà frutti abbondanti. E contrasta con tutto questo la reazione violenta dei vignaioli nei confronti di coloro che sono venuti a ritirare il raccolto. Com’è possibile che si risponda all’amore con l’ingratitudine, con la cattiveria, con la violenza? Arrivando addirittura a uccidere il figlio del padrone!
E’ il mistero del male, lo scatenarsi dei peggiori istinti e delle più crudeli brutalità che stride con la manifestazione di un amore limpido e smisurato. E’ il mistero del rifiuto riservato a Gesù fino a cercare la sua morte per spazzarlo via, per farlo tacere per sempre, per impedire che continui a operare, a guarire, a donare misericordia e luce. E’ il mistero della sua Passione e della sua morte, di come si sia potuto in breve giudicarlo e condannarlo, inchiodarlo a una croce e farlo morire.
Per quanto gli uomini si rivelino ingrati e violenti, Dio non desiste dal suo amore. Sì, perché egli questa vigna la ama a ha fiducia nei frutti che può dare. Proprio il rifiuto, paradossalmente, innesca un’offerta ancora più grande di salvezza, che raggiunge tutti gli uomini. Dio non si lascia sconfiggere dal male. E tuttavia ha bisogno di vignaioli che condividano il suo amore, la sua cura, la sua tenerezza.
Tutti quelli che vi lavorano, che assumono compiti e responsabilità, non possono ignorare che un giorno ne dovranno rendere conto. Nessuno si arroghi, dunque, il diritto di farla da padrone. Nessuno si ritenga autorizzato a sfruttare e dominare, a fare il bello e cattivo tempo. Nessuno si illuda di poter sfuggire al suo giudizio. Nessuno irride impunemente al suo amore per l’umanità.
O Signore, quella che tu racconti è una storia d’amore: la storia di un uomo che ha fatto di tutto per quel pezzo di terra trasformato in vigna. L’hai protetta, circondandola di una siepe, hai fatto in modo che fosse custodita al tempo in cui si raccolgono i frutti. Si tratta di un racconto che narra la fiducia riposta in coloro che ricevono un bene così prezioso: non è da tutti mettere nelle mani di altri ciò che è costato tanto sudore, perfino la tua vita.
Quella vigna ci parla di un amore del tutto unico che Tu provi per questa umanità così poco riconoscente e della sofferenza che ti attende perché non esiterai a esporti fino in fondo pur di manifestare la bontà del Padre celeste.
Il capocordata.
Bibliografia consultata: SdP, 2023; Laurita, 2023.
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