Il trattamento con la vitamina D in pazienti affetti da COVID-19 e con patologie pregresse, fa diminuire il rischio di decessi e i trasferimenti in terapia intensiva.
Che la vitamina D, un vero e proprio ormone con effetti pleiotropici, abbia effetti immunomodulanti e immunostimolanti è ormai dimostrato in numerosi studi. Se da un lato intensifica l’azione battericida e antivirale, dall’altro ne modula la risposta infiammatoria. Evitando così che si verifichino reazioni immunitarie eccessive e prolungate con relativo danni a tessuti e organi. E inducendo un aumento e l’attivazione dei linfociti T reg, cellule deputate alla regolazione del nostro sistema immunitario. Induce, inoltre, la produzione di catelicidine e defensine che possono abbassare i tassi di replicazione virale e ridurre le concentrazioni di citochine pro-infiammatorie, che sono causa dei danni al tessuto polmonare, riscontro tipico in molti pazienti affetti da COVID-19.
Sono diversi gli studi osservazionali e clinici che hanno riportato come l’integrazione di vitamina D riduca il rischio di influenza e come, sia in modelli animali che in vitro su cellule polmonari umane, abbia un effetto preventivo contro lo sviluppo di polmonite interstiziale.
Diversi lavori scientifici hanno associato l’ipovitaminosi D a una maggiore esposizione alla malattia ed alle sue manifestazioni cliniche più aggressive. Un recente studio francese aveva suggerito che la terapia con colecalciferolo (vitamina D), assunta nei mesi precedenti il contagio, potesse favorire un decorso meno critico in pazienti anziani fragili affetti da Covid-19. Del resto è interessante notare come l’epidemia da COVID-19 sia “esplosa” in inverno, periodo in cui le concentrazioni sieriche di 25-idrossivitamina D sono più basse; che il numero di casi nell’emisfero australe verso la fine dell’estate è basso e come la carenza di vitamina D contribuisca alla sindrome da distress respiratorio acuto. Inoltre anche i tassi di mortalità di questa infezione aumentano con l’età e con la presenza di altre patologie croniche, condizioni entrambe associate a bassi livelli ematici di vitamina D.
Purtroppo sono disponibili ancora pochi dati sugli effetti benefici del trattamento con vitamina D in pazienti ospedalizzati per COVID-19. Almeno fino ad ieri.
Infatti uno studio appena pubblicato su Nutrients, coordinato dall’Università di Padova, evidenzia scientificamente l’effettivo ruolo protettivo della vitamina D sui malati di Covid-19.
Lo studio è stato effettuato su pazienti, con età media di 74 anni, ricoverati nel periodo di marzo – aprile 2020, trattati con le associazioni terapeutiche allora utilizzate e che, sulla base delle caratteristiche cliniche, sono stati supplementati (o meno) con vitamina D.
Nello specifico 36 soggetti su 91 (39.6%) hanno assunto un’alta dose di vitamina D per 2 giorni consecutivi (200.000 UI/die). I rimanenti 55 soggetti (60.4%) non ricevevano questa integrazione. Lo studio aveva l’obiettivo di valutare se l’assunzione di vitamina D potesse influenzare il decorso dell’infezione e il trasferimento in Unità di Terapia Intensiva e/o il decesso. Durante un periodo di follow-up di 14 giorni circa, 27 (29.7%) pazienti venivano trasferiti in Terapia Intensiva e 22 (24.2%) andavano incontro al decesso.
L’analisi statistica rivelava che la presenza di altre patologie (malattie cardiovascolari, broncopneumopatia cronica ostruttiva, insufficienza renale cronica, malattia neoplastica non in remissione, diabete mellito, malattie ematologiche ed endocrine) modificava significativamente l’effetto protettivo della vitamina D: maggiore era il numero delle comorbidità (altre patologie) presenti, maggiore era il beneficio indotto dalla supplementazione di vitamina D ed in particolare in coloro che avevano assunto il colecalciferolo, il rischio di andare incontro a decesso o trasferimento in terapia intensiva era ridotto dell’80% rispetto ai soggetti che non l’avevano assunto.
I benefici apportati da questa vitamina sono innumerevoli e forse ancora non tutti pienamente conosciuti. Purtroppo è poco presente negli alimenti: è presente in elevate quantità nell’olio di fegato di merluzzo, pesci grassi come salmone, sgombro, tonno, aringhe e pesci azzurri, tuorlo d’uovo, fegato, nei formaggi molto grassi e nei funghi.
La principale fonte di vitamina D resta la sintesi endogena (circa l’80%) in seguito all’esposizione solare per cui è fondamentale passare più tempo possibile all’aria aperta (in particolare nei mesi primaverili ed estivi) ma resta sempre opportuno dosare i propri livelli sierici di vitamina D e integrarla quando carente, ancor di più in questo periodo e nei soggetti “fragili” o maggiormente a rischio.
Dott. Dario Amodio
Dietista – Biologo nutrizionista
Esperto (Master di II Livello) in Nutrizione clinica e Metabolismo
Esperto (Master di II Livello) in Oncologia Integrata
Docente e Coordinatore del master di II livello di Medicina integrata presso Università Telematica San Raffaele di Roma
amodio.nutrizione@libero.it
www.amodionutrizionista.it
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