L’episodio (Gv. 6, 1-15) viene riferito sei volte nei vangeli, segno della storicità dell’evento. Giovanni sembra non dipendere dai sinottici (Matteo, Marco e Luca), perché utilizza una tradizione orale o scritta indipendente. I primi tre versetti situano l’evento nello spazio e nel tempo narrato, mettendo in scena i protagonisti: Gesù, la grande folla e i discepoli. Gesù si sposta, passa “all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi” (vv. 1-2). La forza di attrazione che i “segni” possiedono spinge molta folla per la prima volta a “seguire” Gesù. La sequela iniziale della folla prepara da lontano la reazione, quando vorrà acclamarlo come “il profeta” (v. 14).
Gesù sale sul monte, luogo del banchetto messianico, dove egli si pone “a sedere con i suoi discepoli” (v. 3), dando così all’ambientazione un carattere solenne, che termina con una nota temporale: “Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei” (v. 4). Tale nota cronologica corrisponde al particolare primaverile dell’erba verde: si tratta della seconda Pasqua delle tre nominate da Giovanni. Gesù “vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?” (v. 5). Il racconto dà risalto esclusivo a Gesù quale “donatore” di fronte alla moltitudine: il suo gesto gratuito dipende dallo sguardo che egli ha posato su di essa (“vide”).
A questo punto c’è un momento di “suspense”: dove comprare da mangiare per tanta gente? La domanda ha un carattere cristologico, perché conduce all’origine divina di Gesù. La domanda dell’apostolo Andrea sottolinea la grandezza del segno: cosa sono cinque pani d’orzo e due pesci per tanta gente? (v. 9). I pani d’orzo erano meno pregiati di quelli di frumento, perciò era il cibo dei poveri.
Alcuni pani e pesci diventano una quantità tale da saziare cinquemila uomini: “Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano” (v. 11). Prendere i pani e ringraziare rende bene l’idea che Gesù recitava la preghiera per ringraziare il Signore del cibo preparato. “Li diede”: l’evangelista mostra come sia Gesù stesso a distribuire il pane ai presenti. E’ Gesù l’unico donatore dell’abbondante pane offerto, lasciando già qui trasparire il mistero di cui il segno dei pani è la figura (anticipazione): lui è l’unico pane di vita piena che si dona personalmente, con le sue mani.
La sazietà porta a un comando di Gesù che lascia sorpresi: “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto. Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato” (vv. 12-13). C’è un sovrappiù, un pane che sopravanza e Gesù non vuole che vada perso. La gente ha mangiato a sazietà: le dodici ceste di pane avanzato è un numero tradizionale di valore teologico, che manifesta la generosità sovrabbondante di Dio, che rivela l’abbondanza di un dono completo in sé stesso.
Lo scopo cui mira Gesù attraverso il segno dei pani è la sazietà fisica, ma anche la vita divina: egli orienta verso la sorgente perenne di vita e conduce a una interpretazione salvifica del segno appena compiuto, che rievoca, sotto certi aspetti, il miracolo della manna. Perciò, “la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo” (v. 14). La folla riconosce in Gesù il profeta che deve venire. “Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo” (v. 15).
Dal suo comportamento il giudizio di Gesù è critico verso l’entusiasmo politico, storicamente documentato, dei Galilei. Egli si ritira tutto solo, perché il Padre è sempre con lui. Il giudizio dell’evangelista Giovanni è critico, perché la fede mediante i segni è intermedia tra la fede sincera dei discepoli e l’incredulità dei giudei, spinti solo da una fede nel Gesù che compie miracoli, ma Gesù diffidava di tale fede.
Tante volte, nella vita, ci troviamo a fare i conti con la differenza tra la povertà dei nostri mezzi e la grandezza dell’impresa. “Che cos’è questo per tanta gente?”. In fondo queste parole esprimono una mancanza di fede, rivelano una relazione con Dio centrata ancora troppo su sé stessi e non aperta al Dio per cui nulla è impossibile. E’ consolante che proprio in questo “ammanco” Gesù realizzi il segno e apparecchi il banchetto: “sapeva quello che stava per compiere” (v. 6). Il pane moltiplicato è la grazia di Dio che irrompe sulla fame dell’uomo in modo indeducibile, come una sorpresa abbondante. Il miracolo è possibile perché c’è un ragazzo, uno che non conta, uno che non fa i conti, che consegna il suo tutto al Signore.
E’ proprio questa condivisione che rende possibile il miracolo. Tutti se ne vanno sazi, grazie a quel poco che è stato spartito insieme. Se nelle nostre famiglie, nei gruppi, nelle comunità cristiane raccogliessimo la lezione che ci viene da questo racconto! Se ognuno tirasse fuori quel poco che ha, quello che conserva per il proprio futuro, quello che considera il suo tesoro e fosse pronto a condividerlo con gli altri. Allora sì, non ci sarebbe più fame. Allora avverrebbero cose inimmaginabili e insperate. Allora si vedrebbe che il vangelo non è un libro per poveri illusi, ma la Parola che diventa realtà palpabile. Senza il nostro poco, però, nulla può accadere, perché lui, Gesù, non vuole creare dal nulla, ma moltiplicare quello che la nostra fiducia e la nostra generosità gli mettono tra le mani.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Mazzeo, 2021; Roselli, 2021; Laurita, 2021.
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