Davanti al martirio di Giovanni Battista, Gesù sceglie una barca che lo porti via dalla predicazione e dalla confusione. La morte per il vangelo merita silenzio e preghiera. La folla cerca Gesù, lo rincorre, mentre lui si ritira in un luogo deserto, in disparte. I discepoli intercedono presso di lui perché congedi quella folla ed eviti che muoia di fame. Gesù prova compassione per quella folla (v. 14): la vede, si ferma, è lì per loro, guarisce i malati. E questo non sembra sufficiente: chiede anche ai discepoli di avere il suo stesso pensiero: sfamate questa gente che è qui per seguirmi (v. 16).
Si impone una riflessione che non parte principalmente dalle nostre forze o si interroga se siamo capaci o no di dar da mangiare a tutta quella folla. La riflessione deve partire dal Maestro, dal suo cuore che prova compassione per quella gente. Se provi compassione, allora il cuore si scioglie, si apre. La compassione è il primo miracolo che Gesù compie: fermarsi, uscire anche dai propri progetti per dare risalto al bisogno che la folla ha di ascoltare, di essere guarita, di essere sfamata.
In questa compassione che diventa concreta Gesù chiede all’uomo di non fidarsi delle sue sole forze, dei pochi pani e pesci che ognuno porta con sé. Anche i malati sarebbero rimasti tali se non si fossero affidati a Gesù. C’è da credere alle sue parole: c’è un pane che Gesù ha preparato, ma che noi ancora non vediamo, assicurato dalla sua compassione che il Maestro mostra per chi ha fame e sete di lui. Il Vangelo spinge ad aver bisogno, sempre e comunque, di occhi nuovi che ci facciano vedere al di là delle nostre insufficienze.
E’ molto significativo il gesto di Gesù. C’è il comando di sedersi sull’erba, l’accoglienza dei cinque pani e due pesci, gli occhi al cielo, parole di benedizione, frazione del pane e distribuzione da parte dei discepoli. Gesù prega, benedice, offre, accoglie il nostro poco e lo rende sovrabbondanza, nutrimento che sfama e impedisce di morire di fame. E’ il Dio della vita. Sempre. Anche nel dolore e nella sofferenza. Questo è il secondo miracolo che dobbiamo qui cogliere. Se siamo già “stra-sazi” di altro, se noi adulti ci “ingozziamo” di tutto tranne di ciò che sfama veramente, avremo sempre fame in una continua insoddisfazione. Credere a quel Pane e avere il coraggio di distribuirlo produce il miracolo della sovrabbondanza. Da soli siamo aridi consumatori del nostro poco. Con Gesù possiamo diventare generosi collaboratori del bene.
Gesù pensa alle persone: “voi stessi date loro da mangiare” (v. 16). Loro, i discepoli, devono mettersi in prima fila, lasciarsi coinvolgere da quella parola del Maestro che li chiama a essere credenti. “Non abbiamo che cinque pani e due pesci” (v. 17), cioè nulla in confronto al bisogno. Gesù invita a sedersi sull’erba (v. 19) e coinvolge i discepoli in una missione esaltante, perché non rimangano chiusi nel loro piccolo mondo.
Il miracolo di Gesù è il miracolo della comunione. Non divisione, ma comunione tra lui e i discepoli, tra la folla e il poco che c’è, tra quello che Gesù benedice e spezza per tutti. Nasce una sinfonia di comunione ogni volta che, fidandoci, depositiamo il nostro poco nelle sue mani e lo aiutiamo a distribuire. La divisione crea fame. La comunione genera sazietà e condivisione. E non vergogniamoci di mettere nelle sue mani provvidenti il nostro poco. Il miracolo, prima di distribuire, sta nel perdere tutto in lui.
E’ il miracolo della condivisione: il pane, se viene “spezzato”, riesce a sfamare proprio tutti e in modo abbondante. E’ il miracolo della compassione: l’amore autentico per gli altri produce effetti insperati. E’ il miracolo della generosità: senza quei cinque pani e due pesci non sarebbe accaduto nulla. Alla base di tutto c’è un dono, anche se esiguo.
A distanza di duemila anni vengono alla memoria i racconti di tanti miracoli che accadono ancora oggi tra i poveri, tra quelli che sanno condividere, che hanno veramente pietà delle sofferenze altrui, che donano quel poco che hanno. Ce li raccontano spesso i missionari e le missionarie, i volontari e le volontarie che percorrono i paesi del Terzo Mondo. E le loro parole hanno il sapore fresco del Vangelo di oggi, trasudano l’insperato, ma anche la gioia che sgorga da una pienezza e da una sazietà che ha veramente dell’inaudito.
Quel giorno, alla folla affamata, il Signore ha offerto un segno: Egli prova compassione per la nostra fame, partecipa alle nostre pene, condivide le nostre miserie e proprio per questo ci offre guarigione e pane a sazietà. Ci rimette in cammino, ci libera dal potere del male e dona un nutrimento che ci sostiene nella fatica di ogni giorno. Dio si prende cura di noi, della nostra esistenza, ascolta le nostre invocazioni, vuole trasformare la nostra vita.
Il mondo nuovo non nasce dall’egoismo, dal pensare solo a se stessi e non si costruisce a partire dal nulla. C’è un dono di partenza, quei cinque pani e due pesci, e c’è un metodo infallibile. Il pane non si moltiplica magicamente, ma si spezza e si distribuisce. Quel giorno, alla folla affamata, è stato dato però solo un segno perché la realtà va ben al di là. E’ il Signore il pane spezzato per la vita del mondo, il Pane offerto per la nostra liberazione, il Pane donato perché tutti possano mangiare a volontà e conoscere la sua pienezza e la sua gioia.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: D’Agostino, 2020; Laurita, 2020.
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