Religione

L’amore: il testamento di Gesù

Nell’oscurità la gloria

Il tema della gloria (Gv. 31-35) è introdotto per contrasto nel momento in cui maggiore appare l’oscurità a questo punto della storia: “Quando Giuda fu uscito” (v. 31). E’ il segnale che dà il via alla passione, in quanto il tradimento assume in Giovanni un significato più profondo come dimostra l’annotazione sul turbamento di Gesù (v. 21) e l’indimenticabile scena del dialogo attorno all’identità del traditore con il discepolo amato chinato sul petto del maestro (vv. 22-30).

L’abisso del male si fa largo nel cuore di uno dei discepoli, e poi via via attraverso il processo, la condanna e il calvario, fino alla morte di croce. Tuttavia, proprio in questa notte oscura, Gesù fa luce ai suoi con parole di vita. “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato” (v. 31): l’essere glorificato di Gesù corrisponde al dare la vita. Dunque, col farsi strumento di Satana da parte di Giuda (v. 27) ha l’inizio “l’ora” della glorificazione, ovvero l’ora del dono di sé fino alla morte di croce.

L’ora della passione e morte di Gesù costituisce il segno definitivo della sua obbedienza alla missione che il Padre gli ha affidato, quella della salvezza del mondo. Ecco perché Gesù ora può dire che “Dio è stato glorificato” nel Figlio (v. 31). L’affermazione contiene una duplice accezione: da un lato, Gesù ha manifestato il Padre lungo tutto il suo ministero; con le parole e i segni egli è apparso come sua manifestazione visibile, Logos (la Parola) incarnato.

Dall’altro, questa glorificazione giunge a compimento con la morte di Gesù, nell’offerta incondizionata della sua vita. Se la croce, nel vangelo di Giovanni, è il “trono della gloria” del Figlio, il luogo in cui verrà innalzato per attirare tutti a sé, la risurrezione è l’atto finale della glorificazione da parte di Dio nei confronti di Gesù, atto che dimostra l’unità del progetto divino di salvezza.

Così, nei termini di una glorificazione reciproca, il mistero pasquale si compie e ci attira nel cuore stesso della Trinità, tanto che possiamo concludere con le parole stesse del prologo: “Dio nessuno lo ha mai visto, il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (1, 18).

Nella separazione l’amore

L’amore è il comandamento nuovo di Gesù, è il comando che riassume tutti gli insegnamenti e il più ripetuto, soprattutto nei discorsi di addio, nell’ultima cena. Ora che Gesù sta per lasciare i suoi, esso rappresenta la sua eredità incorruttibile, il legame che li unisce per sempre.

Amatevi come io vi ho amato” (v. 34): l’esercizio di questo amore a opera dei discepoli dice l’appartenenza a Gesù, alla sua famiglia. La qualità di questo amore è data, in Gesù, dal suo offrire sé stesso al Padre, affinché i suoi possano avere la vita divina attraverso di lui e perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.

Le parole di Gesù nel contesto della cena pasquale, in cui il “pater familias” aveva il compito di spiegare quello che stava accadendo e cosa si stava celebrando, assumono un senso nuovo e definitivo alla luce della sua morte e risurrezione.

L’evangelista Giovani, nelle sue Lettere (1 Gv.), afferma che l’incarnazione del Figlio e la sua morte e risurrezione costituiscono la prova definitiva dell’amore di Dio per noi e, al tempo stesso, si afferma che l’esercizio dell’amore verso il prossimo, a somiglianza di Gesù, è garanzia della comunione con Dio. In altre parole, il comandamento dell’amore appare molto più che un’esigenza morale: esso discende direttamente dall’aver riconosciuto l’amore di Dio per noi, incarnato nella vicenda e nella persona di Gesù, e come risposta al desiderio del Signore stesso di una comunione che vada oltre la distanza e la morte.

In conclusione, l’evangelista Giovanni presenta l’amore per il prossimo come esercizio di quella regalità che Gesù ha esercitato dal trono della croce e come risposta al dono di Dio per noi. Nella relazione di obbedienza al Padre e nell’offerta di sé, fino al sacrificio estremo, è tracciata la via per ogni discepolo di Gesù che celebra, oggi come allora, il mistero della cena nella Pasqua del Signore.

Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri”: Gesù si propone come modello di questo amore. In questo, bisogna riconoscerlo, questo comandamento è del tutto “nuovo”, inedito, perché fissa una misura straordinariamente grande, che non si accontenta di poche briciole di compassione, di qualche ritaglio di bontà, del dono di un po’ del nostro superfluo. E questo è il segno distintivo del cristiano, ciò che lo caratterizza e lo fa riconoscere. Il discepolo di Cristo non è tale per una questione anagrafica, perché figura nei registri di battesimo e di cresima. E’ nei fatti, con le opere, che si mostra se si ama veramente Gesù.

E’ il tuo amore, Gesù, che ci dà sicurezza quando ci lanciamo nell’avventura più grande della nostra vita, quella di seguirti ogni giorno e di lasciarci guidare da te. Non riusciremo mai a imitarti: tu sei un modello irraggiungibile. Tuttavia potremo tentare di abbandonare il nostro modo di pensare e di leggere la realtà col tuo sguardo, di rinunciare ai nostri progetti di grandezza per metterci al servizio degli altri. E quale sarà la risorsa segreta a cui attingere ogni volta? Il tuo amore è la solida base della nostra esistenza scalcinata: il tuo amore che risana, il tuo amore che sostiene, il tuo amore che rialza e ci aiuta a ritentare.

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: Mino, 2022; Laurita, 2022.

Redazione

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