Gesù, dopo aver superato l’insidia del tributo a Cesare tesagli dai farisei con gli erodiani e aver risposto alla domanda dei sadducei relativa alla risurrezione, viene interpellato una terza volta: gli viene chiesto quale sia il più grande dei comandamenti (Mt. 22, 34-40). Si tratta di un ulteriore tentativo di trovare pretesti contro Gesù. Un dottore della Legge si avvicina a Gesù e gli chiede: “Qual è il più grande comandamento della Legge?” (v. 36).
A questa domanda è sottesa una questione molto dibattuta nel mondo rabbinico (maestri) del tempo, che si domandava quale fosse il comandamento da porre al di sopra di tutti gli altri. Presso gli ebrei, infatti, c’erano 613 prescrizioni della Legge ripartite in 248 comandi positivi e 365 divieti. Dato il rilevante numero di prescrizioni era normale domandarsi se c’era una gerarchia, se c’era un comandamento che superava in importanza tutti gli altri. Gesù risponde alla domanda citando il brano del Deuteronomio (6, 5): “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Cuore, anima e mente indicano l’uomo e la donna con tutte le loro energie.
Mediante queste parole, recitate tre volte al giorno, il pio israelita si impegnava a corrispondere con tutto sé stesso all’amore che Dio aveva manifestato nei confronti del suo popolo liberandolo dalla schiavitù d’Egitto e contraendo con lui il patto di alleanza al Sinai. Questo comandamento/preghiera ricordava all’israelita l’esclusività di Dio; nel suo cuore non ci dovevano essere altri idoli o altre divinità. Gesù, mediante la citazione di questo comandamento, ricorda che nel cuore di ogni uomo e donna il primato spetta a Dio, è lui che deve stare in cima alla scala dei valori.
Gesù, però, si spinge oltre e afferma che l’amore di Dio va unito all’amore del prossimo (Levitico, 19, 18): “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Le interpretazioni rabbiniche di questo passo non erano concordi. I maestri antichi includevano nel comandamento dell’amore del prossimo solo il connazionale. Una tendenza più tardiva e restrittiva considerava prossimo solo il fratello che osserva i comandamenti. Nella prassi concreta il prossimo era solo il compatriota israelita che osservava la Legge.
Gesù unisce i due comandamenti e dall’insieme del suo insegnamento appare con evidente chiarezza che per Gesù il “prossimo” non è solo il fratello di religione o di razza, ma ogni uomo e donna, particolarmente coloro che si trovano in stato di necessità. Gesù aggiunge che il prossimo va amato “come se stessi” (v. 39), cioè senza mezze misure. Bisogna amare il prossimo con lo stesso amore che si nutre verso sé stessi.
L’annuncio di questa pagina evangelica è semplice e chiaro: l’amore per l’uomo e la donna è legato all’amore di Dio, è da lui che si impara “come” amare e “quanto” amare. Non si può dire di amare Dio se non si ama il fratello e la sorella, anzi l’amore verso di loro diventa misura e verifica del nostro amore per Dio. L’amore per Dio e per il prossimo non sono due comandamenti paralleli, semplicemente accostati, ma dipendenti. Non possono esistere separati e tanto meno essere in opposizione. Non ci si può accontentare di amare Dio senza amare il prossimo, né presumere di amare il prossimo dispensandosi dai doveri e dagli atteggiamenti che esprimono l’amore per Dio.
L’amore per Dio è espansivo: l’amore per il Dio invisibile si fa visibile e si traduce in gesti concreti nelle relazioni umane, nelle opere di giustizia, nel divenire operatori di pace, nel vivere le beatitudini. Leggiamo in 1Gv. : “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dice: ‘Io amo Dio e odia suo fratello e sua sorella, è bugiardo. Chi infatti non ama coloro che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello e sorella‘” (4, 19-21).
L’evangelista Matteo, che scrive per una comunità giudeo-cristiana, individua nel comandamento dell’amore il centro del messaggio etico di Gesù e mostra come questo comandamento sia in accordo, anzi costituisca il centro della Legge (Tòrà). Gesù non è venuto per abolire, ma per dare compimento alla Legge e questo compimento si realizza nell’amore a Dio e ai fratelli e sorelle. L’evangelista, poi, conclude con una frase che gli è propria: “Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti” (v. 40). Con questo intende dire che i due comandamenti sono come i cardini su cui tutto poggia: sopprimerli significa far crollare tutto l’edificio. Vi si può vedere un’allusione al comportamento dei farisei, che si perdevano nell’enumerazione di tutta una serie di osservanze esteriori, dimenticando la carità e le sue esigenze. L’amore è la chiave della Legge, quando l’amore viene meno non si osserva la Legge.
Occorre restituire a Dio quella centralità e quella esclusività che è tanto logica, ed è pure tanto facile smarrire. Si tratta di una questione seria per il cristianesimo contemporaneo, perché la fede oggi rischia di essere infarcita di dettagli ma priva dell’essenziale, di Dio, e di conseguenza, povera di vero amore per le persone, alle quali, magari, si vuole bene, ma delle quali non si vuole il vero bene, perché se non si offre Dio, non si dà nulla, oppure si restringe continuamente il perimetro di chi è degno di attenzione e di amore, con le preferenze o le esclusioni.
L’amore autentico per Dio assorbe tutte le energie, le forze, le capacità di una persona, il cuore e la mente, i sentimenti e la volontà. E altrettanto decisivo è anche l’amore per il prossimo, un amore che è basato su un ragionamento molto evidente: l’altro o l’altra è come me; ha la stessa mia dignità, i miei stessi diritti.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Boscolo, 2020; Riva, 2020, Laurita, 2020.
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