Lavorare dopo la pensione: ecco i benefici di chi non si ferma
Trovare attività part time dopo la pensione aiuta gli anziani a restare in salute più a lungo e pesa meno sui costi sociali
Un pensionato romano da 91 mila euro al mese ancora lavora. Trovare attività part time dopo la pensione aiuta gli anziani a restare in salute più a lungo e pesa meno sui costi sociali. Roma è una delle città che più invecchiano e avrebbe bisogno di soluzioni come questa perché mantenere le pensioni costerà sempre di più.
Lavorare con una pensione d’oro; il caso Telecom
A tutti piacerebbe andare in pensione come Mauro Sentinelli, con 91.337,18 euro al mese, si avete capito bene, al mese! È lui il pensionato d’oro d’Italia, colui che più di tutti guadagna dopo il termine della sua attività lavorativa. Ex manager e ingegnere elettronico della Telecom, inventò le schede ricaricabili per cellulari. La cifra che riceve da molti è ritenuta eccessiva. Ma quando era ancora in attività guadagnava 9 milioni di euro all’anno, pagando regolarmente tutte le tasse, ed è andato in pensione con l’80% del suo stipendio, come previsto dalla legge. Laureato con prestigiosi master in ingegneria elettronica, è entrato nella Sip (la vecchia Telecom) nel 1974, e da ideatore della TIM Card, la schedina ricaricabile, negli anni ha fatto guadagnare miliardi alla sua azienda. Tuttora fa parte del Cda della Telecom. Cioè è un pensionato ancora in attività.
Solo il 3% dei pensionati italiani lavora, in Corea del sud sono il 34%
Continuare a lavorare, con la testa e con le braccia, dopo essere andati in pensione, rallenta per almeno il 50% la possibilità di contrarre patologie gravi cardiovascolari e triplica la possibilità di migliorare la propria salute.
È uno studio del Cdc Preventing Chronic Disease statunitense condotto su un campione di 83.000 individui. L’inattività invece accelera il decadimento fisico e cognitivo e porta anche all’isolamento sociale. Se avete avuto modo di conoscere dei vecchi contadini avrete constatato che restare in attività fisica e mentale li fa vivere in salute bene fino a età incredibili.
Ogni centenario può confermare che il segreto della longevità è l’attività fisica e mentale oltre che una sana alimentazione variata. Ovvio che non stiamo parlando del minatore, dello spaccapietre o di chi lavora a contatto con sostanze chimiche dannose per la salute o nelle centrali nucleari.
Dopo la pensione, lavorare part time aiuta il benessere
Secondo la ricerca Lavorare in età avanzata fa bene alla salute?, pubblicata su Bmc Public Healt nel 2021, che ha analizzato 17 studi, “l’estensione della vita lavorativa (in particolare a tempo parziale) può avere benefici o un effetto neutro per alcuni, ma effetti negativi per altri in lavori ad alta domanda o a bassa remunerazione. Esiste il potenziale per aumentare le disuguaglianze sanitarie tra coloro che possono scegliere di ridurre il proprio orario di lavoro e coloro che hanno bisogno di continuare a lavorare a tempo pieno per motivi finanziari.”
È un problema che si stanno ponendo tanti paesi perché l’aspettativa di vita cresce e diventa anche un problema di spesa sociale. In Italia quelli che sono fra i 65 e i 75 anni sono 7milioni e mezzo di persone. Tra questi sono 383.600 quelli che hanno superato i 65 anni, sono in pensione eppure continuano a lavorare. Fanno quasi tutti un lavoro indipendente. Sono il 3% del totale. Mentre in Giappone sono il 25% e in Corea del Sud il 34%, negli Usa e in Svezia il 19%, in Norvegia il 15%, in Finlandia 12%, in Grecia 4%, Francia e Spagna 3%.
Disoccupazione giovanile bassa dove si resta a lavorare dopo la pensione
In Giappone, Stati Uniti e Svezia, se posticipi l’età della pensione di danno degli incentivi: l’8% sull’assegno pensionistico, cure mediche gratuite, aumenti salariali. Questo risulta dagli accordi tra il lavoratore e il datore del lavoro che ha interesse a tenersi una persona con esperienza. Tutto questo non penalizza affatto l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro. Le statistiche dimostrano che i percorsi dei giovani sono diversi da quelli degli anziani. Laddove l’occupazione dei pensionati è più alta c’è meno disoccupazione giovanile. In Giappone è al 4%, negli Stati Uniti al 7,5%, nel sud Europa invece la disoccupazione giovanile è molto alta. Questo indurrebbe a pensare che le strategie del Governo dovrebbero non mandare in pensione troppo presto persone non usurate, che possono ancora dare un grande contributo professionale, come medici, ingegneri, docenti, liberi professionisti, tecnici, artigiani e indurli a perpetuare la loro occupazione con incentivi, magari assumendo, con un rischio ripartito con lo Stato, dei giovani che possano apprendere una professione sul campo. Avrebbe senso soprattutto per le attività artigianali, contadine e per le piccole imprese familiari, la base dell’economia italiana.
Invece le nostre città invecchiano e gli anziani soli diventano un problema
La situazione invece è di abbandono del pensionato, che nelle grandi città rischia la noia e la solitudine. Nel nostro Paese succede tutto il contrario della logica: aumentano gli anziani che vanno in pensione ed escono dal processo produttivo, diminuiscono le nascite e molti giovani emigrano all’estero per trovare lavori più remunerativi. Perdiamo competenze, capacità, prospettive di crescita imprenditoriale e produttiva. La conseguenza è che le città invecchiano.
Così sta succedendo a Roma dove sono 641.000 gli over 65enni e l’età media della popolazione residente cresce di anno in anno, adesso è a 46,4 anni. L’indice di vecchiaia registrato dall’Istat per Roma dice che ci sono 183 anziani ogni 100 giovani nel 2022. L’anno precedente l’indice era di 178,4. Bisogna anche considerare il carico sociale, ossia le persone in pensione che pesano su quelle attive. A Roma nell’anno 2022 c’erano 56,4 individui a carico su 100 che lavoravano. Nel 2002 erano 46,8!
Infine c’è l’indice di ricambio della popolazione attiva. Rappresenta il rapporto percentuale tra la fascia di popolazione che sta per andare in pensione (60-64 anni) e quella che sta per entrare nel mondo del lavoro (15-19 anni).
La popolazione attiva è tanto più giovane quanto più l’indicatore è minore di 100. Ad esempio, a Roma nel 2022 l’indice di ricambio è 145,7 e significa che la popolazione in età lavorativa è molto anziana. Nel 2015, solo 7 anni prima, l’indice era 133,2. Da questo si capisce che la popolazione anziana rappresenta un costo sociale quando smette di produrre e pesa, come cure e assistenza, sulla società.
Pensioni in Italia: quasi 18 milioni, circa la metà al Nord
Secondo l’Istat in Italia le pensioni al 1° gennaio 2023 sono 17.718.685, di cui 13.685.475 (il 77,2%) di natura previdenziale e 4.033.210 (il 22,8%) di natura assistenziale. L’area geografica che riceve il numero maggiore di pensioni è quella settentrionale con il 48%. Al Centro va il 19,3% e al Sud e Isole il 30,7%, pii c’è un 2% che va ai pensionati italiani all’estero.
Dal punto di vista degli importi la distribuzione territoriale ricalca quella numerica. Al nord vanno il 55,3% delle somme stanziate, al sud e isole va il 24,3 % e al centro il 19,7%. Per chi vive all’estero il gettito ammonta allo 0,7%. L’importo medio della pensione mensile di vecchiaia è di 1.359,53 euro, con un valore più elevato al nord per 1.456,71 euro.
L’età media dei pensionati è di 74,1 anni, un po’ più anziane le donne e meno gli uomini. La pensione va soprattutto a persone di classe sociale bassa (55,8%) con pensioni anche inferiori a 750 euro.
Nel 2050 20 milioni di over 65, lavorare dopo la pensione fa reggere il sistema
Secondo i dati dell’Ocse, in media gli Italiani trascorrono 24 anni in pensione, e un’analisi condotta da Bloomberg ha rivelato che tra i 16 e i 18 anni li trascorrono in buona salute. Godere di una vita longeva è sicuramente un dato positivo, ma rappresenta anche una sfida. L’Italia è attualmente il Paese più anziano d’Europa, con un’età media di 48 anni rispetto ai 44,4 dell’Unione Europea. La popolazione degli Italiani sopra i 65 anni ha superato i 14 milioni di individui, corrispondenti al 24% dell’intera popolazione, e secondo le proiezioni dell’Istat, nel 2050 raggiungeranno quota 20 milioni, ovvero il 34,9% della popolazione.
Un cambio del proprio rapporto di lavoro, da dipendente a consulente
Il nodo di chi pagherà le pensioni in una società che invecchia sempre di più è un tema che va affrontato adesso e programmato nel lungo periodo. È un nodo cruciale di come immaginiamo la nostra società nel futuro.
Se vogliamo arginare la fuga dei cervelli e dare accoglienza ad altre risorse umane che vogliano trasferirsi nel nostro Paese, bisogna mettere in atto politiche migratorie adeguate alle nostre esigenze e aperte anche alle esigenze dei lavoratori che migrano verso l’Europa. Le migrazioni ci sono da sempre, dall’alba della presenza dell’uomo sulla terra, ancor prima della nostra specie Sapiens Sapiens, come ci siamo presuntuosamente chiamati. Si tratta di gestirle. Renderle efficaci al cambiamento sociale e culturale. Non c’è alternativa.
Chi parla di muri e di blocchi si pone fuori della storia e della logica. Le proteste che hanno infiammato la Francia nei mesi passati per non innalzare l’età del pensionamento da 62 a 64 anni lo dimostrano. Per molti che fanno lavori duri, usuranti è una considerazione giusta ma per la maggioranza il momento della pensione non deve coincidere con una vita inattiva.
Lo dicono gli studi scientifici, l’esperienza storica, la medicina geriatrica. Il pensionamento può rappresentare un cambio del proprio rapporto di lavoro. Da dipendente a autonomo. Da impiegato a consulente. Con orari ridotti ma con impegni che coinvolgano la persona a mettere a disposizione l’esperienza professionale di una vita per sentirsi ancora attivi e pesare meno sulle casse dello Stato.