Emergenza finita? Si torna in presenza sia a scuola sia al lavoro. Il ritorno alla normale attività in presenza negli uffici pubblici dal 15 Ottobre 2021 è ciò che stabilirà il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Il ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, dovrà rendere note le modalità di rientro; si sa che i primi a rientrare saranno gli addetti agli sportelli e poi a seguire tutti gli altri.
Il ministro Brunetta ha confermato che tra un mese ci sarà un vero e proprio contratto per il lavoro agile. Il governo ha già reso noto l’avvio di un percorso di regolamentazione dello smart working che migliorerà certamente le modalità di svolgimento e avrà alla base il principio dell’accordo tra lavoratore e azienda. Il lavoro da remoto sarà diviso in tre fasce: operatività, contattabilità e inoperatività, quest’ultima fa riferimento al diritto alla disconnessione completa (come anticipa il Giornale). Sicuramente auspicabile sarà l’accesso al lavoro agile per coloro che hanno bambini piccoli, le persone con disabilità e i caregiver.
La definizione di smart working, che troviamo nella Legge n. 81/2017, parla di flessibilità organizzativa, volontarietà delle parti che stipulano un accordo e utilizzano strumentazioni che consentano di lavorare a distanza (ad esempio: computer, tablet e smartphone).
Ciò che è avvenuto durante la crisi pandemica ha obbligato molte aziende e i loro lavoratori ad accettare questo tipo di lavoro pur non essendo formati e improvvisando tempi e modi dello smart working. Innanzitutto la flessibilità è stata ridotta e non si è dato spazio alla volontà dei lavoratori, fatta eccezione per alcuni più anziani e totalmente digiuni d’informatica di base. Lo stress ha investito molti lavoratori e li ha costretti a lavorare ben oltre le ore giornaliere previste dai contratti.
Da una ricerca interessante compiuta da LinkedIn, su un campione di duemila lavoratori da remoto è emerso che il 21% fa fatica a staccare la spina e il 16% teme di essere licenziato. Il 46% degli intervistati lamenta ansia e stress e il 48% dice di lavorare almeno un’ora in più al giorno, mentre il 19% teme che la propria azienda possa chiudere. I lavoratori si sentono più affaticati e temono di non essere all’altezza. L’altra faccia della medaglia però è rappresentata dal piacere di stare in casa.
Il 50% degli intervistati ammette di avere più tempo per la famiglia. Il 27% riferisce di avere la possibilità di mangiare cibi sani. Quando parliamo di piacere a stare nell’ambiente domestico dobbiamo fare attenzione a distinguere un ambiente sano da uno malato. Il lavoro fuori casa rappresenta per molte persone un rifugio e uno svago. Prepararsi la mattina, dedicarsi alla cura della persona, scegliere un vestito, truccarsi, farsi la barba e altri rituali come il caffè al bar o la pausa pranzo con i colleghi, permettono alle persone di mantenersi attive e di socializzare con l’ambiente lavorativo, sentirsi compresi, realizzati, appagati.
In molti casi purtroppo l’ambiente domestico è un luogo stressante, un luogo dove non ci si sente apprezzati, un posto dove tornare perché obbligati da doveri familiari. E’ il caso di coppie separate in casa che decidono di rimanere insieme per problemi economici o per amore dei figli. In questi casi il lavoro fuori casa è vita! Ritrovarsi tutti in casa davanti ad un computer chi per studio, chi per lavoro porta all’amplificarsi di quei problemi che venivano rimandati o celati da vite parallele. L’isolamento ha minato il nostro work life balance, ossia un giusto equilibrio tra vita privata e vita lavorativa.
Lo smart working sperimentato nel periodo pandemico ha provocato una serie di problemi, non solo legati al rapporto stretto con la tecnologia ma anche e soprattutto legati alla salute psichica. Innanzitutto un elevato stress dovuto alla continua connessione, senza aver stabilito in precedenza i tempi e i modi delle pause ovvero il cosiddetto diritto alla disconnessione.
Un aumento dello stress per i carichi di lavoro in casa. Un affaticamento psichico dovuto alla performance da raggiungere. L’isolamento dai rapporti umani essenziali. Difficoltà a mantenere distaccati i tempi di lavoro dai tempi personali; un ambiente di lavoro riadattato a domicilio ma non sempre consono alle esigenze del lavoro da remoto.
Questi e molti altri rischi hanno reso difficile la serenità delle persone, già messa a dura prova dalla pandemia. Sicuramente c’è una fascia di popolazione senza lavoro che ha pagato un prezzo ancora più alto, isolata e improduttiva. Il virus ci ha resi più fragili, insicuri, privi di aspettative future. Cosa si può fare per fronteggiare questo malessere che è presente anche nei più giovani?
Oggi, a quasi due anni dal primo caso di Covid ci sentiamo più liberi grazie al vaccino, ma non molliamo le regole base di sicurezza. Un rimedio è lo sportello d’ascolto psicologico che dovrebbe essere presente in ogni scuola e ogni ufficio pubblico e privato, un luogo specifico al quale rivolgersi per avere un primo colloquio, capire e affrontare il malessere e se è il caso indirizzare la persona verso un percorso di approfondimento.
Sapere di avere a disposizione uno sportello psicologico facilita la consapevolezza del bisogno e evita il procrastinarsi del malessere. Questo, a lungo andare, potrebbe trasformarsi in una malattia invalidante e di conseguenza portare all’assenza prolungata dal lavoro o dalla scuola. Infine ma non meno importante, noi psicologi auspichiamo alla realizzazione di una legge che preveda lo psicologo di famiglia, una figura fondamentale e indispensabile nel post pandemia.
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