Le apparizioni di Cristo risorto
Dall’esperienza fisica alla fede spirituale
Per tutto il periodo pasquale che ci porterà fino alla Pentecoste, la lettura biblica del Vangelo domenicale sarà presa dal Vangelo di Giovanni. Infatti, la seconda domenica di Pasqua ha come brano biblico evangelico il racconto delle apparizioni di Gesù risorto a Gerusalemme (Gv. 20, 19-31). Mentre per i fatti avvenuti presso il sepolcro di Gesù, il personaggio più importante è Maria Maddalena (Gv. 20, 1-18), per quanto riguarda le apparizioni ai discepoli a Gerusalemme, il personaggio più significativo è l’apostolo Tommaso.
Se Maria Maddalena in un primo momento di sconforto piange alla vista del sepolcro vuoto, Tommaso in maniera spontanea dubita della realtà del Cristo risorto. Come Maria Maddalena confessa la propria fede allorché il Signore si rivela a lei, così anche Tommaso crede in maniera appassionata ed entusiastica quando Gesù si degna di apparirgli nella domenica seguente. In entrambi i casi (per Maria Maddalena, cfr. v. 17; per Tommaso, cfr. vv. 25 e 27) è messo in rilievo il fatto di toccare fisicamente il Signore con una nota di profonda sensibilità umana. Inoltre, la fede merita a Maria la missione di annunciare la risurrezione ai discepoli, mentre la professione di fede di Tommaso prelude alla fede di coloro che credono senza aver veduto. In tutti e due i brani si tratta del passaggio dall’esperienza fisica alla fede spirituale: Maria Maddalena crede quando la voce familiare del maestro pronuncia il suo nome, Tommaso e i discepoli credono quando contemplano le mani e il costato del Cristo Signore.
Saltando il commento dei versetti biblici riguardanti l’apparizione del Risorto agli Undici nel cenacolo di Gerusalemme la sera di quello stesso giorno, il primo dopo il Sabato, passiamo ad analizzare l’apparizione a Tommaso, “otto giorni dopo” la prima apparizione quando Tommaso era assente. Anzitutto diciamo qualcosa sul personaggio. Tommaso, nel Vangelo di Giovanni, è detto “Didimo”: Tommaso è il discepolo che dubita, colui che è diviso in due, una persona divisa in se stessa, colui che non crede facilmente; oppure, molto più semplicemente, qualcuno ritiene che “Didimo” significhi “gemello”. Appare nel Vangelo come un uomo tutto d’un pezzo, fondamentalmente generoso e leale verso il Maestro. Il suo dubbio verso la risurrezione proviene senz’altro da un cuore incapace di vedere, ma ben intenzionato e generoso.
“Otto giorni dopo” (v. 26): siamo nella prima domenica dopo la Pasqua, e i “discepoli” (i Dodici) erano di nuovo in casa insieme a Tommaso, che era stato assente la domenica di Pasqua. Gesù entra “a porte chiuse”: l’autore vuole mettere in evidenza la condizione particolare e misteriosa del Risorto, abbastanza corporea perché siano visibili le sue piaghe ed il suo costato, ed abbastanza immateriale per consentirgli di passare attraverso le porte chiuse (sbarrate, per timore dei Giudei). Gesù augura ai Dodici la “pace”: si trattava di quel saluto convenzionale “State bene”, ma che negli anni si era arricchito di un significato più profondo e più cristiano, con risonanze sia spirituali che materiali.
Poi disse a Tommaso: metti qua il tuo dito…” (v. 27 e ss.). Nelle parole di Gesù a Tommaso affiorano sia una condiscendenza infastidita verso il discepolo, che accetta la prova di essere toccato fisicamente perché possa accertarsi che non si tratti di un essere immaginario ma di un corpo reale e vivo; e sia un rimprovero ben meritato, perché Tommaso diventi un vero credente nella realtà del Cristo Risorto.
“Rispose Tommaso e disse: Signore mio e Dio mio” (v. 28). Questa fulgida confessione di fede cristiana, questa affermazione così densa dal punto di vista cristologico spunta sulle labbra dell’incredulo Tommaso dall’evidenza della risurrezione. Fino a quel momento nessuno aveva ancora attribuito il titolo di Dio al Cristo Gesù: con quell’espressione Tommaso esprime in modo spontaneo e appassionato la sua fede totale nella divinità del Cristo. Questa confessione di fede è l’apice, il punto culminante di tutto il IV Vangelo, che su questa affermazione si conclude di fatto in bellezza: la professione di fede di Tommaso costituisce la conclusione e la chiave interpretativa del Vangelo di Giovanni. L’apostolo Tommaso esalta il Cristo, il Figlio, con gli stessi termini usati abitualmente dai giudei per onorare Dio.
“Perché mi hai veduto, tu hai creduto” (v. 29). Notiamo il legame tra il verbo “vedere” e il verbo “credere”, così caratteristici della teologia dell’evangelista Giovanni: la fede cristiana nasce dalla vista, dall’incontro con l’esperienza del Cristo. Il punto di partenza del cristianesimo si trova in fatti storici che è stato possibile constatare, controllare, stabilire e dei quali alcuni testimoni scelti hanno reso testimonianza: il Cristo della fede cristiana implica e presuppone il Gesù della storia. Nel Vangelo di Giovanni la teologia e la storia non si contraddicono, ma sono intrecciate l’una nell’altra.
“Beati coloro che credono senza aver veduto” (v. 29). Al di là dell’apostolo Tommaso, si intravede la chiesa credente dei secoli futuri. La beatitudine, la felicità, la gioia sono promesse a tutti i credenti che non sono stati testimoni oculari dei fatti riportati, a tutti i cristiani che, di generazione in generazione, suppliranno con l’ardore della fede a ciò che a loro manca, e cioè la presenza visibile del Cristo. Certamente sono inclusi i cristiani contemporanei all’evangelista quando redigeva il suo Vangelo, verso la fine del primo secolo dell’era cristiana. Si esprime così ancora una volta l’unità e la continuità tra Gesù di Nazareth e il Cristo della prima comunità credente.
“L’epilogo (la conclusione) del Vangelo” (vv. 30-31). Si tratta della conclusione di tutto il libro: in essa l’evangelista Giovanni indica brevemente l’oggetto della fede cristiana. Innanzitutto, bisogna credere che Gesù è il Cristo, il Messia promesso dalle Scritture. Poi, dobbiamo credere che egli è il Figlio di Dio, nel senso stretto che l’evangelista ha usato nel prologo (il Verbo era Dio) e come l’apostolo Tommaso ha proclamato nell’episodio conclusivo del Vangelo: così la conclusione si riallaccia all’inizio. Questa fede è già la vita, una vita spirituale che si realizza fin d’ora ma che rimane tesa verso una perfezione sempre più grande alla fine della storia.
La chiesa, con la lettura del racconto dell’apparizione del Cristo risorto all’apostolo Tommaso, invita anche noi a ripercorrere il cammino che dalla vista porta alla fede, dall’ascolto della Parola alla confessione della fede nella risurrezione di Gesù e nostra. Per questo è necessaria la lettura, individuale e comunitaria, della Parola di Dio, e la partecipazione al banchetto eucaristico nel giorno del Signore, se vogliamo rinverdire sempre la nostra fede e ritrovare l’entusiasmo della prima volta.
Bibliografia consultata: Seynaeve, 1971.