Il discorso pronunciato da Gesù in pianura (Lc. 6, 20-26) rappresenta la “magna charta” del messaggio cristiano. Nel racconto lucano le “beatitudini” sono un appello ai discepoli che, a causa del Vangelo, hanno scelto la povertà e sono costretti a subire persecuzioni per la fedeltà a Cristo. L’amore è ciò che dà forma e sostanza all’etica del discepolo: è doveroso amare senza attendere il contraccambio, anzi facendo il bene sia nei confronti dei nemici, sia dei fratelli e sorelle.
I destinatari del discorso sono descritti per cerchi concentrici: in primo luogo figurano gli apostoli, scelti personalmente da Gesù sul monte dove egli si era recato per pregare; compare, poi, la folla di discepoli, composta da coloro che hanno udito predicare Gesù e hanno assistito agli atti prodigiosi da lui compiuti. E’ presente, infine, una moltitudine del popolo che proviene da Gerusalemme, dalla Giudea, e dalle città di Tiro e di Sidone. Si costituisce attorno a Gesù il “popolo” a cui è destinata la salvezza.
L’evangelista Luca contrappone quattro “beatitudini” e quattro “guai” rivolti ai discepoli. Il popolo della nuova alleanza si forma accogliendo la parola autorevole del Cristo. L’aggettivo greco “makarios” (beato, felice) indica la beatitudine, come anche la felicità: essa è orientata verso un futuro di cui Dio si fa garante. Il suo Regno appartiene ai poveri; è lui che provvederà a sfamare gli affamati e ad asciugare le lacrime di chi è nel pianto. I poveri sono coloro che vivono di elemosina, non possedendo nulla.
Sono i poveri i destinatari della missione evangelizzatrice per la quale Gesù è “Unto” e inviato; la povertà è la condizione posta per seguire Gesù. I discepoli, rinunciando ai beni terreni, devono confidare nella provvidenza, che non farà mancare loro il cibo e tutto ciò di cui hanno bisogno. Si comprende perché già ora il regno di Dio appartiene a loro: la regalità divina si manifesta in Gesù, di cui essi sono divenuti discepoli.
Il privilegio dei poveri, come pure quello degli affamati e gli afflitti, trova il suo fondamento non in loro stessi, nelle disposizioni spirituali a loro attribuite, ma nella natura del Regno che viene, nelle disposizioni di Dio che intende esercitare la sua regalità in favore dei più diseredati. L’ultima beatitudine ha valore predittivo al destino della comunità: per il nome di Gesù Cristo, essi saranno odiati, discriminati socialmente, vituperati e, infine, ripudiati a motivo del nome che essi portano, vale a dire quello di Cristo, da parte di coloro che respingeranno la loro testimonianza.
Tuttavia, Dio ricompenserà il loro impegno, garantendo loro la salvezza: per questa ragione, quando giungerà il tempo della persecuzione, essi potranno rallegrarsi e sobbalzare di gioia. Le vessazioni che essi dovranno sopportare li accomuna alla sorte dei profeti della storia di Israele, respinti da coloro che rappresentano gli antenati degli attuali persecutori.
Ancora rivolto ai discepoli (v. 20) Gesù pronuncia i quattro “guai”, termine che ha il significato di un “lamento”. Tale lamento si intonava per i morti o per quelli che sono senza speranza per il futuro. L’intervento di Dio sovverte la situazione attuale: il ricco che gode di sazietà e di letizia rischia di essere estromesso dal Regno divino, perché ha confidato in sé stesso, anziché in Dio.
La ricchezza si abbina al motivo della sazietà (v. 25), come conferma la parabola del ricco epulone: egli, che ha prosperato nel suo egoismo, trascura il povero Lazzaro che mendica alla sua porta. La ricchezza non è incompatibile con la salvezza, come dimostrerà l’episodio di Zaccheo, a patto che sia condivisa e partecipata ai poveri. Infine, Gesù mette in guardia i discepoli dalla ricerca della gratificazione e della buona fama: anche i falsi profeti, per ingraziarsi i potenti e il popolo, hanno proferito parole menzognere.
Quanto devono far riflettere queste ultime parole di Gesù che demoliscono false certezze, inganni, ipocrisie, luoghi comuni, bisogni creati ad arte e indotti. Non c’è chi non veda come una porzione consistente di Chiesa sembra essere a caccia di consensi, preoccupata di assecondare le mode culturali del nostro tempo, per avere un minimo spazio in qualche salotto televisivo, determinata a piacere maggiormente al mondo e al tempo in cui vive, che al suo eterno sposo. Diffidare di un facile applauso, di un interessato elogio, mi sembrano tratti costitutivi del nostro essere discepoli, scelte non ideologiche, ma fedeltà amorosa a colui che ha dato la vita per noi e per la nostra salvezza.
E poi, come se non bastasse: Gesù dichiara beati, felici i poveri, coloro che hanno fame, coloro che piangono, coloro che sono odiati e insultati a causa sua. E, al contrario, mette in guardia dall’illusione di ritenere che siano i ricchi, i sazi, quelli che ridono e quelli che godono di consenso e di popolarità, ad aver trovato la strada giusta. Perché Dio si prende cura dei primi e assicura loro i suoi beni, la sua gioia? La maggior parte di noi non la pensa così.
Non è forse vero che lui, Gesù, ha vissuto poveramente; non è forse vero che la fame che si porta dentro, solo il Padre celeste può saziarla; non è forse vero che proprio lui conoscerà la sofferenza più atroce; e non è forse vero che la sua risurrezione mostrerà che la sua strada percorsa è l’unica per arrivare alla pienezza e alla vera realizzazione?
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Landi, 2022; Riva, 2022; Laurita, 2022.
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