Con la festa del Battesimo di Gesù abbiamo iniziato il Tempo Ordinario: un Tempo adatto per approfondire la nostra conoscenza di Gesù al fine di rispondere alla sua chiamata e seguirne le orme nella vita feriale di tutti i giorni. Il vangelo che ascolteremo nella seconda domenica del Tempo Ordinario è il brano di Giovanni (Gv. 2, 1-12) che ci narra il primo miracolo compiuto da Gesù durante le nozze di due giovani sposi a Cana di Galilea, dove furono invitati sia la Madre di Gesù, come pure Gesù con i suoi discepoli. Rispondo subito alla domanda, perché il brano biblico non è preso dal Vangelo di Luca, il Vangelo di questo anno C. Da sempre la Chiesa ha considerato il mistero della Epifania del Signore come mistero della rivelazione del Cristo ai Magi (la festa dell’Epifania), al popolo eletto (la festa del Battesimo) e ai discepoli (le nozze di Cana e la testimonianza di Giovanni Battista nella chiamata dei primi discepoli): per questo nella domenica dopo il Battesimo di Gesù leggiamo il brano di Giovanni, il solo evangelista che racconta questo episodio.
“Tre giorni dopo” (v. 1). Non è molto chiaro a quale data precedente si riallaccia l’espressione “tre giorni dopo”. Gli esegeti (studiosi del Vangelo) hanno contato i giorni che precedono la testimonianza di Giovanni Battista e la chiamata dei discepoli nel Vangelo di Giovanni: essi sono sei o sette. E’ chiaro, allora, che la frase “tre giorni dopo” ha il significato di una indicazione temporale simbolica. Nel linguaggio dei primi cristiani, “tre giorni dopo” è un’espressione simbolica per richiamare il giorno della risurrezione del Signore, nella quale anche gli incontri iniziali con Dio (siamo agli inizi della vita pubblica di Gesù) diventano già l’irruzione definitiva di Dio sulla terra.
“vi fu una festa di nozze” (v.1). Si tratta di un banchetto nuziale: esso fa da cornice festosa, di esultanza al primo miracolo di Gesù come il Messia tanto atteso. L’immagine del banchetto nuziale ricorre spesso nella Bibbia per raffigurare l’alleanza di Dio con il suo popolo (cfr. Osea, 1-2), oppure l’unione di Cristo con la sua Chiesa (pensiamo al “sacramento” del Matrimonio, Ef. 5, 32). Inoltre, l’immagine del banchetto, del convito simboleggia spesso la gioia, la beatitudine del regno messianico, i beni del tempo finale (escatologico).
“c’era la Madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli” (v. 1-2). Sembra che ognuno (la Madre e Gesù) sia arrivato per conto suo, come se si fosse già stabilita una separazione tra Maria e suo Figlio. Gesù, ormai impegnato nel suo ministero messianico, è con i suoi discepoli: infatti, è per loro, per la loro fede, che avrà luogo il prodigio. L’evangelista Giovanni parla della “madre di Gesù” soltanto qui a Cana e ai piedi della croce, cioè all’inizio e alla fine della vita pubblica di Gesù: la presenza discreta e riservata della Madonna inquadra e avvolge in qualche modo l’insieme della vita di Gesù con i suoi discepoli.
Durante il banchetto nuziale dei giovani sposi venne a mancare il vino, e la Madonna lo fa sapere a Gesù: “Non hanno vino” (v. 3). Il fatto increscioso per gli sposi novelli provoca anzitutto un breve scambio di osservazioni tra Maria e Gesù. “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora” (v. 4). La parola “donna” al posto dell’appellativo “madre” è insolita e sconcertante, ma certamente non ha il significato negativo. Infatti, Gesù si rivolge così ad ogni donna a cui parli. Chiamando sua madre con questo appellativo, Gesù si pone verso di lei su un piano spirituale che supera i legami del sangue: è il piano di Dio e dell’attenzione alla sua “ora” decisa dal Padre.
Anche nei vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca), quando si parla di sua madre o della sua parentela, Gesù risponde invitando ad andare al di là di una visione semplicemente umana e di giudicare le cose dal punto di vista della conformità alla volontà di Dio.
L’ora di Gesù è l’ora determinata da Dio per la glorificazione del Figlio: essa ha la sua collocazione storica nel momento in cui gli agnelli pasquali vengono uccisi e Gesù versa il suo sangue sulla croce come il vero Agnello. Gesù verrà glorificato dalla sua risurrezione: allora sarà manifestata, nella sua umanità, la gloria divina che possedeva dall’eternità come Figlio di Dio. A Cana non è ancora giunta l’ora in cui veramente Gesù dev’essere glorificato. Tuttavia, è il rapporto con la manifestazione della gloria di Gesù, nella Croce e nella Risurrezione – Pentecoste, che conferisce il significato profondo al miracolo che sta per compiere, il quale è una anticipazione della grande manifestazione pasquale.
“Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (v. 5). Maria non ha visto un rifiuto nella risposta misteriosa del Figlio e nella sua attesa riprende una formula biblica (Gen. 41, 45) per rivolgersi ora ai servi. Anche la Vergine Maria si colloca realmente in un piano superiore, che è quello della fede e della conformità al disegno di Dio: Maria si rimette immediatamente al Figlio e raccomanda ai servi la fiducia e la docilità verso Cristo, qualunque cosa egli prescriva loro. Con queste parole termina il compito della Madonna a Cana: essa ha avuto una certa iniziativa nella determinazione del miracolo, col suo intervento in favore dei novelli sposi. A buon diritto, la nostra pietà ama vedere qui un primo esempio della misericordia della Vergine e della potenza della sua mediazione.
“Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino” (v. 9). Le sei anfore di pietra riempite d’acqua dai servi per ordine di Gesù e destinate alla purificazione rituale dei giudei, ora contengono “il vino buono”: esse, agli occhi dell’evangelista, sono ormai il simbolo di uno stato di cose superato, di un’economia religiosa sorpassata. Ora che è venuto Cristo, messia e Figlio di Dio, l’acqua è stata cambiata in vino, segno della nuova alleanza. Le anfore di pietra potevano contenere ciascuna 100 litri d’acqua, ossia un totale di sei ettolitri: una quantità considerevole, se pensiamo che i servi le avevano riempite fino all’orlo. I doni di Dio sono sempre abbondanti, e il vino traboccante diviene simbolo della copiosa felicità promessa per la fine della storia.
“Egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (v. 11). I miracoli vogliono formare la fede, che è adesione alla persona di Gesù. Anche nell’Eucaristia assistiamo al miracolo della trasformazione del vino nel sangue di Cristo, eppure la partecipazione alla santa Messa non riesce a ravvivare la nostra fede e a vivere la comunione con lui sempre più profondamente: usciamo dalla chiesa come siamo entrati, senza un minimo cambiamento interiore. Possiamo dire di essere ancora suoi discepoli?
Bibliografia consultata: Jacquemin, 1971; Benedetto XVI, 2007.
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