Il brano del vangelo (Mt. 13, 24-43) di domenica XVI del Tempo ordinario continua la lettura delle parabole del Regno. Dovremmo aver compreso che Gesù parla alla folla in parabole, perché essa è già chiusa verso il Signore in un atteggiamento di rifiuto, realizzando la profezia di Isaia. I discepoli sono i primi che ascoltano e comprendono la parola: la spiegazione delle parabole è per essi la conferma di una grazia che già ha cominciato a portar frutto in loro, e non la soluzione di un enigma, che li lascerebbe pur sempre nella non comprensione di esse. Ai discepoli, infatti, è dato di conoscere i misteri del Regno dei cieli. Mentre le parabole sono rivolte alla folla accecata, le spiegazioni vengono date ai discepoli che comprendono. Anche in questo brano, come in quello di domenica scorsa, affiora l’intenzione teologica di mettere in evidenza il privilegio dell’iniziazione ai misteri del Regno dei cieli, di cui godono i discepoli, e l’accecamento che attira sul popolo il genere di predicazione (le parabole) meritato dal suo rifiuto della luce.
La parabola della zizzania (vv. 24-30)
La presenza della zizzania in un campo seminato di buon grano desta la meraviglia dei servi, che interrogano il padrone del campo: egli risponde che un nemico l’ha piantata e che non occorre sradicarla, perché si danneggerebbe anche il buon grano; non solo, essi dovranno crescere insieme fino alla mietitura per avere entrambi il destino che meritano. Non sembra difficile cogliere il significato essenziale di questa parabola. Con la mediazione del mistero di Gesù, Dio incomincia a chiamare coloro che sono destinati ad entrare nel Regno. Anzi, attraverso la parola di Gesù e l’accoglienza che essa suscita, il processo di instaurazione del Regno si trova già misteriosamente in atto. Ma allora come si spiega la presenza del peccato? Come si spiega che i peccatori non siano condannati né eliminati, ma coesistono con i figli del Regno? E’ questo lo scandalo. Il giudizio non può essere anticipato; l’impazienza del giudizio deve cedere il passo alla pazienza nell’attesa del giorno in cui Dio farà la cernita richiesta dall’instaurazione definitiva e gloriosa del suo Regno. Non è possibile separare la zizzania dal buon grano perché non è possibile arrogarsi il privilegio divino di decidere con autorità chi sia il buon grano e chi la zizzania. Conviene vivere nella fedeltà alla parola del Regno, piuttosto che trovare in essa una falsa e orgogliosa sicurezza.
L’interesse del racconto è rivolto al tempo che precede la definitiva rivelazione del Regno. Questo tempo presenta due caratteristiche: ora, in questo tempo è annunciato il Regno, che porta già frutto. Ma vi sono forze contrarie che cercano di impedire ciò. Il tono fondamentale del racconto è la fiducia, ma l’esperienza del rifiuto, del rinnegamento, della malvagità vi ha una parte di rilievo. Non dobbiamo lasciarci provocare: seminare e lasciar crescere sono espressione di fiducia. Il compito assegnato non è l’intervento con la forza ma l’annuncio fiducioso.
Matteo non ci fornisce alcuna indicazione sulle circostanze in cui il Cristo ha pronunciato la parabola della zizzania. Ma le possiamo immaginare con qualche verosimiglianza. Giovanni Battista aveva annunciato ai farisei e ai sadducei la venuta di uno più potente di lui. La via seguita da Gesù ha senz’altro deluso l’attesa suscitata da Giovanni Battista. La causa della delusione, che fornisce l’occasione alla parabola, pare che non si debba tanto ricercare nell’accoglienza che Gesù riserva ai peccatori, quanto nel rifiuto da lui opposto a creare una comunità di puri, che escluda gli altri, destinati alla dannazione. Per questo i servi della parabola vogliono eliminare la zizzania, per salvaguardare la bontà del buon grano. La parabola della zizzania denuncerebbe sia questo falso zelo, sia lo scandalo che lo provoca.
Le parabole della senape e del lievito (vv. 31-33)
La pianta di senape appartiene alle piante erbacee e annuali. Essa germoglia in breve tempo e in luoghi fertili può giungere fino all’altezza di tre metri. Alla piccolezza del chicco di senapa si oppone lo stadio finale della sua crescita, che ne fa il maggiore di tutti gli ortaggi. L’albero, che consente agli uccelli del cielo di nidificare sui propri rami, è un’allusione all’albero mondiale, che offre protezione a tutti gli esseri viventi e a tutti i popoli.
Il significato originale della parabola può essere riassunto come segue: pur sotto apparenze modestissime, il Regno dei cieli, che un giorno manifesterà la sua grandiosità, è fin d’ora presente nella parola di Gesù, nell’evento che questa parola rappresenta per coloro che l’ascoltano. La parabola della senape inculca la certezza che proprio quest’opera insignificante in apparenza, ed intrapresa fin d’ora da Dio che agisce in Gesù, sarà un giorno portata a termine nella gloria. E’ dunque possibile, anzi urgente, riconoscere il Regno di Dio, dal momento che il Cristo ci comunica la parola del Regno. Tra questa confessione effettiva e il tempo in cui saremo al riparo tra i rami dell’albero escatologico (finale), esiste una continuità che sarà svelata dal giudizio futuro.
E’ possibile dimostrare che Matteo, testimone di una chiesa in espansione, rifonda la parabola per renderla attuale? La chiesa è forse fin da questa terra l’albero tra i cui rami gli uccelli del cielo vengono a cercare rifugio? La chiesa costituisce forse la prima efflorescenza del messaggio evangelico prima che si attui il Regno dei cieli? Pare proprio di sì, come alcuni indizi letterari invitano a pensare.
La parabola del lievito si limita a mettere in risalto la proprietà peculiare del lievito che è quella di fermentare una straordinaria quantità di pasta: mezzo quintale di farina! Anche qui inizio e fine vanno posti in reciproca relazione. L’inizio della predicazione del Regno, avvenuto con Gesù, è e rimane efficace. Mediante essa il mondo e l’umanità sono entrati in una situazione nuova e si trovano posti su una strada nuova.
In origine essa doveva articolarsi essenzialmente sull’opposizione tra il poco lievito e la pasta che fermenta tutta sotto la sua azione. La morale primitiva della parabola era dunque analoga a quella della parabola della senape. Matteo, invece, apre la via ad una interpretazione ecclesiologica: egli ha presente la forza straordinaria con cui il messaggio del Vangelo penetra nel mondo.
Bibliografia consultata: Goedt, 1970; Gnilka, 1990.
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