Basta qualche faro blu, e naturalmente un tramonto romano, per trasformare una serata normale in qualcosa di magico. L’evento è l’inaugurazione del Festival delle Letterature, martedì 14. Il luogo è la basilica di Massenzio, un rudere che è diventato manuale di architettura e ispirazione di magnificenza degli ultimi sei secoli. Il programma: un po’ così. Non per cattive scelte. Diciamo piuttosto che per uno spazio così magnificente ci sarebbe voluto qualcosa di più grandioso che Laura Morante che leggeva Magris o Magris che leggeva qualcun altro. La musica, invece, di Rita Marcotulli, giusta e giustamente liquida per fluttuare intorno alla volte possenti.
Come spesso succede agli spettacoli romani, specialmente quelli estivi e all’aperto, l’ambiente si mangia l’evento. Questa può essere una frustrazione per le ambizioni degli artisti, ma è anche un salvagente. In fondo, comunque vada la parte recitata o cantata, quella monumentale è talmente grandiosa che tutto funziona. Sempre. E’ un bene? E’ un male? Mah, Roma è così.
Il barcone di Marevivo è attraccato allo Scalo De Pinedo sul Tevere. Qui, qualche giorno fa, si è festeggiata la nascita di Aquafilmfestival, un’iniziativa di Eleonora Vallone. Tutto sull’acqua: salata, dolce, mare, fiumi, stagni. Con incontri, documentari, corti e cortini, in autunno alla Casa del Cinema. Ne riparliamo dopo l’estate. Intanto parliamo del luogo: uno scalo sul fiume, realizzato a fine ottocento in risarcimento alla città per il Porto di Ripetta, distrutto durante la costruzione dei muraglioni.
Realizzazione traumatica per Roma, i muraglioni, ma indispensabile per salvare il centro dalle piene del Tevere. Basta guardare le lapidi murate sul fianco di S. Maria sopra Minerva, vicino al Panteon, il punto più basso della città. Ce n’è una che marca il culmine di quella più catastrofica di tutte, la notte di Natale del 1598: più di 5 metri di altezza in città. Case distrutte dalla corrente, quattromila morti. Un disastro.
Il porto non funzionò mai veramente, né come risarcimento cittadino, perché troppo fuori mano, né come struttura industriale perché non c’erano industrie. Finché, negli anni del fascismo si pensò (in quegli anni si facevano pensate non sempre brillanti) di trasformarlo in uno scalo per gli idrovolanti, dopo che il pilota Francesco De Pinedo, nel 1925, era ammarato sul Tevere con il suo “Gennariello” (nomignolo da Italia casereccia, un po’ ridicolo per un prodigio della tecnologia come era allora un aereo) proprio lì davanti.
Evidentemente all’epoca c’erano meno ponti, altrimenti c’è da chiedersi come ci sia riuscito, anche se era un asso del volo. Comunque pare che quello sia stato il solo e unico uso aeronautico dello scalo, che in onore dell’ardimentoso si chiamò, come si chiama ancora adesso, De Pinedo. Non più porto, non più idroscalo, ma attracco per galleggianti fluviali e sosta per coppiette.
Presso Gangemi Editore a Via Giulia si presenta: “I busti del Pincio, nei Giardini della Memoria”, un libro di Stefano Gasbarri sulle efferatezze che Roma riserva alle sue memorie storiche. Mentre l’autore e altri convenuti parlano, descrivendo come spesso accade, in modo piuttosto pacato un panorama di mutilazioni, sberleffi, furti che avrebbe invece bisogno di toni da thriller, a un lato del tavolo sta appollaiato con un’espressione imperscrutabile, ma diremmo anche sconsolata, il ministro Franceschini. Il quale, quando ha preso la parola, lui sì con piglio vivace, ha elencato le tante iniziative (alcune delle quali le abbiamo sotto gli occhi) prese per difendere la cultura di Roma dai suoi nemici. Però alla fine (ecco forse la ragione della sconsolatezza) ha dovuto ammettere che questi nemici sono proprio i romani, causa, con il loro disinteresse e maleducazione, dei danni che dovrebbero combattere.
P.S. Patetismi epistolari post ballottaggio, leggermente nauseanti.
Di mariti (Raggi: “Mi manchi da morire. Ti proteggerò da lontano”. Ma chi è, Padre Pio?). Di figli (Giachetti: “…comunque vada questa sera, sorridi, perché sei una persona unica. Ti voglio bene, papà”. Qui siamo in pieno Libro Cuore).
Fa capolino, come sempre, l’Italia del tengo famiglia. C’era proprio bisogno di tanta melassa in una faccenda seria come l’elezione di un sindaco?
L’archivio del Cavalier Serpente, o meglio la covata di tutte le sue uova avvelenate, sta al caldo nel suo blog. Per andare a visitarlo basta un click su questo link: www.ilcavalierserpente.it
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